A soltanto poche ore dalla scomparsa di Sir Ian Holm, il mondo del cinema piange un’altra perdita di eccellenza, ossia quella di Joel Schumacher – deceduto nella giornata di ieri all’età di ottant’anni. Molti titoloni dei giornali hanno preferito, per contestualizzarlo al grande pubblico, citarlo quale regista dei tre Batman anni ’90, i più bistrattati per quanto potenzialmente da rivalutare nei loro marcati e ponderati eccessi kitsch, ma il regista newyorchese ha diretto in carriera opere ben più meritevoli.
E se effettivamente in carriera abbia alternato grandi cult a titoli “minori”, Schumacher è un nome che mancherà anche ai cinefili più duri e puri: per ricordarlo con l’importanza che merita abbiamo deciso di approfondire cinque film dei più riusciti che ha firmato nel corso dei trent’anni di attività, iniziata con The Incredible Shrinking Woman (1981) e terminata con il mediocre Trespass (2011).
St. Elmo’s Fire (1985)
Poco conosciuto rispetto ai suoi reali meriti, la terza prova dietro la macchina da presa del cineasta è un raffinato ed energico coming-of-age che paga un evidente, ma mai fastidioso o petulante, debito nei confronti di un altro grande cult allora contemporaneo come Il grande freddo (1983) di Lawrence Kasdan. La storia si concentra su un gruppo di amici che frequentano l’università, ognuno alle prese con i propri sogni e i demoni personali, rispecchiando con amara e dolce genuinità la generazione di allora. Pur contestato alla sua uscita da buona parte della critica americana, il film si è costruito una cerchia di ammiratori ed è stato riscoperto, anche per via della presenza nel cast di attori destinati a diventare star – di prima o seconda grandezza – come Demi Moore, Andie MacDowell, Rob Lowe, Emilio Estevez e Andrew McCarthy.
Ragazzi perduti (1987)
Una vampire-story magnificamente sfruttante l’ambientazione degli eighties, con le atmosfere di quell’iconico decennio presenti in ogni singolo fotogramma: dalla suggestiva colonna sonora a tema a quel dark humour tipico del periodo che si adattava con armonia alla disincantate dinamiche horror, Ragazzi perduti è un film generazionale la cui aura di culto è perdurata nel tempo.
L’arrivo dei fratelli Emerson in una nuova città, scossa da una scia di inspiegabili delitti, coincide con la scoperta di una banda di succhiasangue che agisce indisturbata all’oscuro dell’opinione pubblica e la new-entry Michael, con storia romantica annessa, è destinata a modificare lo status quo. Il cast capitanato da Jason Patric e Kiefer Sutherland quale iconiche nemesi è l’ennesimo punto di forza di una pellicola che coniuga divertimento e logiche di genere in maniera irresistibile.
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Un giorno di ordinaria follia (1993)
Forse l’apice raggiunto da Schumacher, capace qui di elevare il genere a nevrotiche vette artistiche e dar vita ad una vicenda che nasconde molte, inquietanti, similitudini con la realtà. La storia di un uomo che ha perso tutto – famiglia, lavoro e stabilità economica – e si ritrova ad esplodere da un momento all’altro dopo l’ennesimo motivo di stress, riesce a rendere incredibilmente empatico il percorso verso il baratro del protagonista.
Un giorno di ordinaria follia sa come e dove colpire e non è un caso che negli Stati Uniti venga considerata come un monito contro le ingiustizie subite dai comuni cittadini oppressi dal sistema. Perché ogni passaggio narrativo è calcolato al millimetro e mai casuale, permettendo di indagare nei controsensi del cosiddetto “american dream”, e la totale adesione di uno straordinario Michael Douglas riesce a fare veramente paura.
Il momento di uccidere (1996)
In molti qui forse non saranno d’accordo con la scelta, ma per chi scrive questo legal-thriller di metà anni ’90 – adattamento dell’omonimo romanzo di John Grisham – è stato fin troppo sbeffeggiato ai tempi della sua uscita. Certo, le svolte narrative che accentuano, e giustificano, il ricorso alla vendetta possono far storcere il naso alle platee più liberal, ma il film mantiene una costante dose di tensione nel corso delle due ore e mezza di visione, accompagnate verso l’epilogo da una sentenza catartica che riflette con l’etica e la morale del pubblico.
Il momento di uccidere inizia con una scena di violenza ad alto tasso drammatico e poi manifesta nel corso dei sempre più tumultuosi eventi tutto il proprio pathos processuale, sdoganando condivisibili messaggi antirazzisti e potendo contare sulle intense performance dell’eterogeneo cast che vantava, nei ruoli principali, Samuel L. Jackson, Matthew McConaughey, Kevin Spacey e Sandra Bullock.
Tigerland (2000)
Anche il protagonista di questo mai troppo citato film a sfondo bellico, almeno dal punto di vista tematico giacché la guerra in senso effettivo è assente, è un simbolo dell’andare controcorrente. Un ribelle che si trova costretto a subire un ferreo addestramento per prendere parte ad un conflitto già praticamente perso – quello in Vietnam – e al quale ideologicamente si oppone nelle sue idee pacifiste.
Tigerland è un film minimale nell’approccio ma ricco di spunti e sfumature nella gestione del numeroso gruppo di personaggi, a cominciare proprio da quello principale interpretato dalla futura star Colin Farrell, e ripercorre al meglio il percorso autobiografico raccontato da chi ha vissuto sulla propria pelle quelle esperienze. Il tutto impreziosito dal relativo contesto storico e sociale che attraversava gli Stati Uniti in quella determinata epoca di tumulti e risveglio delle coscienze.