Kind of Kindness, recensione: Lanthimos torna alla sua glaciale crudeltà

Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)
Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)

Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)
Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)

Dopo il successo di Poor Things, il premio Oscar Yorgos Lanthimos si ricongiunge con il suo storico sceneggiatore Efthymis Filippou (assente sul precedente film, decisamente diverso dagli altri proprio nel suo impianto “filosofico”).

Kind of Kindness, recensione: Lanthimos torna alla sua glaciale crudeltà
2.1 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Lo scopo è quello di espandere gli stessi concetti già esposti con la storia di Bella Baxter: l’illusione del libero arbitrio, la complicata padronanza del proprio corpo, finanche della propria biologia, dei propri “fluidi”, l’assoggettamento a una volontà altrui, esterna da se stessi.

Stavolta Lanthimos lo fa con lo stile sadico e glaciale da entomologo, quello che lo ha reso famoso inizialmente con i suoi lavori art-house, condensando in un film quelli che potrebbero essere tranquillamente tre episodi di una ipotetica miniserie tv (la durata per singolo capitolo è quella ormai standardizzata dalle piattaforme streaming: 50-55 minuti).

Lanthimos dimostra però di non saper maneggiare benissimo la forma – tutt’altro che semplice – del racconto breve, del mediometraggio, che finisce per amplificare ancora di più la gratuità di alcune scelte, il gusto della provocazione fine a se stessa.

Ogni “shock” o svolta narrativa inaspettata arriva senza che nulla prima la possa giustificare, schiaffi assestati solo con lo scopo – sembrerebbe – di alienare lo spettatore, giocare al rialzo sul piano del buongusto e della coerenza logica.

Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)
Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)

Se nei primi lavori del regista greco i personaggi venivano collocati sempre in sistemi chiusi, rigidissimi, con le proprie regole, nei quali si inseriva poi un elemento di anarchia e indeterminazione che li faceva esplodere dall’interno, in Kinds of Kindness ci caliamo, in tutti e tre gli episodi, in contesti sociali già dinamitati da pulsioni più o meno psicotiche, in cui tutte le convenzioni sono già saltate per aria.

Non assistiamo più al cambiamento dei personaggi, al loro progressivo allontanamento dal senso comune, ma ci appaiono fin da subito distantissimi da noi, senza che venga concessa alcuna successiva possibilità di avvicinamento. Il sesso, nuova onnipresente ossessione di Lanthimos, non ha nulla di gioioso o liberatorio (come in Poor Things), ma è invece sempre associato a comportamenti sociali disturbanti, utilizzato in scene che dovrebbero suscitare imbarazzo o repulsione e mai eccitazione, senso di appagamento.

Ed è così che fa nuovamente capolino quella misoginia sotterranea che il cinema di Lanthimos ha sempre covato in sé e che negli ultimi anni era stata disinnescata da una ricercata normalizzazione di uno stile invece sempre problematico. Come i gesti di “gentilezza” che danno il titolo al film, e che si rivelano invece azioni violente, anche il gesto cinematografico di Lanthimos finisce per essere il contrario di ciò che vorrebbe: quasi mai intelligente, raffinato o sagace, ma svuotato di significato, kitsch, meno profondo di quel che crede.

Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)
Una scena da Kinds of Kindness (fonte: Festival de Cannes)

Se c’è un interesse reale, in Kinds of Kindness, è la sua totale ostilità nei confronti di chi guarda, pur furbescamente camuffata da tutti quegli stratagemmi stilistici che rendono l’esperienza “cool”, per quanto spiacevole.

Il dito medio sollevato da Lanthimos al pubblico stavolta rischia di allontanare anche quelli che, in massa, lo hanno spinto sul piedistallo del cinema d’autore che conta e che incassa. Quello che arriva agli Oscar e vince tutto.

Kinds of Kindness, in questo senso, è un atto a suo modo di libertà. Di chi, dopo anni di lavoro nel cercare di allargare la platea dei suoi spettatori, di accativarseli e andare incontro al loro gusto, adesso li sfida e li mette alla prova. Sta a noi decidere se accettare la sfida o rifiutarne l’assunto di partenza.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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