Trent’anni dopo Alive – Sopravvissuti, La società della neve di J.A. Bayona racconta l’incidente aereo avvenuto sulla Cordigliera delle Ande il 13 ottobre 1972 e i drammatici avvenimenti che ne conseguirono.
Brutale, crudo e inaspettatamente dettagliato, La società della neve, tratto dall’omonimo libro di Pablo Vierci e ispirato a sua volta dalla drammatica storia vera, è un film diretto da J.A. Bayona (The Impossibile) che racconta la vera storia dell’aereo con a bordo una squadra di rugby dell’Uruguay che il 13 ottobre 1972 precipitò sulla Cordigliera delle Ande, nel territorio del comune argentino di Malargüe.
Presentato alla cerimonia di chiusura dell’80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film è approdato su Netflix il 4 gennaio 2024 ed è immediatamente balzato in cima ai titoli più visti. Dei 45 passeggeri a bordo, solo 16 riuscirono a sopravvivere fino al 22 dicembre dello stesso anno in condizioni di adattamento inverosimili, con temperature sotto lo zero e cannibalismo compresi.
Ma non finisce qui, perché i superstiti non sono in verità mai stati propriamente trovati. Sono stati loro stessi, infatti, a essersi condotti alla salvezza, con una tenacia ed un istinto di sopravvivenza inaudito.
Il disastro aereo delle Ande: la storia vera
Nel 1972 il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana venne noleggiato per trasportare una squadra di rugby uruguayana in Cile. A un certo punto del viaggio i piloti, convinti di essere allineati verso Santiago, iniziarono la manovra di discesa.
D’improvviso l’aereo si trovò al di sotto delle nuvole, momento in cui piloti e passeggeri si accorsero quindi di essere in volo a pochissimi metri dai crinali rocciosi delle Ande. Per rimediare all’errore, i piloti spinsero al massimo i motori cercando di riprendere quota, ma ormai era troppo tardi: alle 15:31, a circa 4 200 metri di altitudine, l’aereo colpì la parete di una montagna con l’ala destra, che si staccò. Il settore posteriore del velivolo, quindi precipitò portando drammaticamente con sé alcuni passeggeri.
Priva di un’ala e della coda, la fusoliera, ormai ingovernabile, precipitò a terra su una ripida spianata nevosa, fortunatamente di pendenza simile alla sua traiettoria. L’aereo scivolò lungo il pendio per circa due chilometri, perdendo gradualmente velocità fino a fermarsi.
Dopo l’impatto, solo 29 dei 45 passeggeri erano ancora in vita. I sopravvissuti, molti dei quali con gambe rotte o gravi ferite, si trovarono intrappolati in uno dei luoghi più ostili al mondo: a 3.657 metri di altitudine sulla Cordigliera delle Ande, con temperature che, di notte, toccavano anche -30 °C.
I superstiti crearono un riparo all’interno della fusoliera, utilizzando sedili, vestiti e valigie al fine di chiudere lo squarcio dell’aereo. Presto, però, al dolore, le infezioni e il freddo estremo si aggiunsero, non per ultime, la fame e la sete. Terminate le scarse provviste presenti a bordo, i sopravvissuti furono costretti a prendere la decisione più drammatica: ricorrere al cannibalismo, consumando la carne dei loro compagni deceduti.
La società della neve: nomen omen
La società della neve
, forte e d’impatto, non poteva avere un titolo migliore. Il film mette infatti perfettamente in scena quelli che furono i tanto disperati quanto ben strutturati e tenaci tentativi dei sopravvissuti di restare in vita, oltre che di cercare aiuto.
Organizzati ognuno nel proprio ruolo, i superstiti cercarono anche di far funzionare la radio dell’aereo, riuscendoci. Ahimè, riuscirono però solo ad udire un notiziario che comunicava che un Douglas C-47 avrebbe ripreso le loro ricerche con il disgelo, che sarebbe avvenuto con l’estate, ovvero a dicembre (NB: siamo nell’emisfero australe). Questo fattore buttò giù non poco l’umore – già basso – degli uditori.
Le ricerche dei soccorritori, infatti, fino a quel momento non avevano condotto a risultati e, inevitabilmente, la ricerca di superstiti si era tramutata in una ricerca di cadaveri, da dover attuare con lo scioglimento della neve, che sarebbe avvenuto non prima di due mesi.
Un ritratto autentico a prova di grande pubblico
Differentemente da Alive – Sopravvissuti del 1993, che ha guardato all’incidente con una sorta di distacco e forse con un maggiore senso di “rispetto” nei confronti di quello che accadde, La società della neve trascina invece lo spettatore nel pieno cuore del dramma, scavando ed indagando a fondo tra le varie dinamiche dei sopravvissuti.
J. A. Bayona, dopo aver già diretto nel 2012 The Impossible (con Naomi Watts, Ewan McGregor e un giovanissimo Tom Holland), racconta qui in maniera potente ed efficace un’altra storia disperata e struggente conciliando – cinicamente parlando – la crudezza dei fatti reali con un racconto scenico, forte ed emotivo, a prova di grande pubblico.
In particolare, è interessante l’aver affidato l’intera narrazione dei fatti, con un voice over onnisciente, a Numa Turcatti, uno dei passeggeri, andando così a creare un forte legame tra i suoi pensieri e quelli degli spettatori. Soltanto verso la fine, però, il pubblico scoprirà che Numa non è tra le 16 persone che ce la faranno, andando così strumentalmente ad aumentare la connessione empatica tra il melodramma filmico e il medesimo spettatore.
L’epilogo (attenzione spoiler!)
Come anticipato, i 16 sopravvissuti finali su 45 passeggeri iniziali, non vennero trovati dai soccorsi. Furono Roberto Canessa e Fernando Parrado, due dei superstiti, a decidere di partire per una spedizione disperata, al fine di cercare aiuto.
Dimagriti di oltre trenta kg, deboli e neanche perfettamente consci del luogo in cui si trovavano o tantomeno della direzione da seguire, i due amici lasciarono la fusoliera con dopo-sci creati artigianalmente, un sacco a pelo per proteggersi dalle intemperie e dei resti umani negli zaini, da consumare durante il viaggio per ottenere energie.
Dopo ben sette giorni di cammino, i due incontrarono un uomo: Sergio Catalan. Quest’ultimo, sbigottito, li aiutò a mettersi in contatto con i soccorritori. Alla fine, i 16 dei sopravvissuti furono salvati il 22 dicembre 1972, dopo 73 lunghi giorni di agonia. A salvarsi furono tutti uomini: Liliana Methol, l’ultima donna a rimanere in vita nel gruppo, morì la notte del 29 ottobre a seguito di una valanga.
Riguardo quell’esperienza, fu proprio Roberto Canessa a parlare del viscerale istinto di sopravvivenza in un’intervista con il Corriere della Sera: “Ricordo tutto di quei giorni. E oggi dico: si fa quello che si può, come sulla Cordigliera. La carne umana? All’inizio ero contrario, poi pensando a mia madre mi decisi: volevo tornare a casa“.