Uno dei film che più ha turbato la generazione anni ’70 spegne quaranta candeline. Stiamo naturalmente parlando di Laguna Blu, film avventuroso a sfondo erotico che ai tempi turbò non poco il relativo target di riferimento, con il pubblico maschile letteralmente rapito dalla bellezza di Brooke Shields, allora appena quattordicenne ai tempi delle riprese.
Più scult che cult dal punto di vista artistico, il film è stato uno straordinario successo ai botteghini americani dove ha incassato la cifra di 60 milioni di dollari, considerevole soprattutto se paragonata all’esiguo budget di soli quattro milioni e mezzo. Un sequel più casto e fallimentare per gli incassi venne realizzato poco più di un decennio dopo, ossia Ritorno alla laguna blu (1991) e anche il piccolo schermo ha voluto dire la sua in tempi più recenti col mediocre adattamento televisivo Laguna blu – Il risveglio (2012): un segno che l’originale, pur con tutti i suoi limiti di partenza, è entrato nel comune immaginario cinefilo.
Laguna Blu – L’isola dei sogni
L’idea di fondere ad un racconto esotico una marcata connotazione sessuale, con la scoperta dell’eros in età adolescenziale – quella dei due protagonisti – è stata indubbiamente la carta vincente dal punto di vista del marketing. E Laguna Blu ha effettivamente avuto il merito di non cullare alcuna pretesa se non quella di raccontare la nascita di un amore in un luogo paradisiaco.
Non è un caso che alle dinamiche tipiche di una love story “obbligata” – due ragazzi soli su un’isola deserta – si accompagnino scorci pseudo-documentaristici, con molteplici riprese della flora e la fauna locale. La fotografia di Néstor Almendros è stata candidata all’Oscar ed è senza dubbio l’elemento migliore in una messa in scena altrimenti imprecisa e raffazzonata, con una serie di eventi inverosimili che si susseguono nel corso dei cento minuti di visione.
Leggi anche: An Open Secret, il regista di Grease contesta la sua presenza nel film sulla pedofilia a Hollywood
Laguna Blu – Tra mare e terra
Sulla carta la vicenda, tratta dal romanzo del primo novecento scritto da Henry De Vere Stacpoole e già portata al cinema nel ben più riuscito Incantesimo nei mari del sud (1949), cullava ben maggiori sfumature, qui approssimate in una ciclicità di situazioni e forzature che finiscono per rendere parzialmente odiosi i due personaggi principali, vittime non a caso del proprio egoismo. Il regista Randal Kleiser sembra un lontano parente di quello che aveva diretto solo un paio di anni prima Grease (1978) e il ritmo della narrazione inizia a latitare dopo la prima mezzora, cioè dopo la scomparsa del “terzo incomodo” e l’arrivo delle versioni teenager dei futuri amanti.
Laguna Blu da lì aggiunge elementi superflui – da antichi idoli a tribù native comparse dal nulla – e li sfrutta senza cognizione di causa, affidando il pathos esclusivamente al panorama mozzafiato e all’acerba, ma sensuale, fisicità degli attori. Nonostante tutto la pellicola è rimasta impressa e ancora oggi se ne parla: un merito poco meritato ma indubbiamente incontestabile.