Le quattro mura di una stanza possono spesso diventare un luogo in cui si scatenano conflitti e si mettono a nudo le personalità di chi le abita. Riprendendo un artificio prettamente teatrale, il cinema ha più volte scelto questo setting per rappresentare situazioni difficili e claustrofobiche in cui i protagonisti devono necessariamente confrontarsi e interagire gli uni con gli altri. Alla Festa del Cinema di Roma abbiamo visto l’intenso ed emozionante Room di Lenny Abrahamson che racconta la triste vicenda di una mamma e un figlio tenuti prigionieri di uno psicopatico in un claustrofobico capanno sporco ed inquietante. Nonostante si svolga in gran parte all’interno di queste quattro mura, il film ha un pathos senza eguali, e non è nuovo il successo a film rinchiusi in una location interna.
The Big Kahuna – John Swanbeck
Nella celebre commedia con Kevin Spacey e Danny De Vito, diretta da John Swanbeck, si scontrano due fedi contrapposte: quella verso le chiese e quella verso le carte di credito. In una stanza di albergo tre venditori di lubrificanti industriali attendono di essere ricevuti da alcuni clienti per poter concludere un enorme affare di lavoro. Durante il tempo di attesa i tre si scambiano idee sulla propria vita, sulle donne e sulla religione, in una “commedia dell’assurdo” che vive all’ombra di questa immateriale figura che è il Big Kahuna, il Godot del capitalismo moderno.
Dogville – Lars Von Trier
Il bellissimo film di Lars Von Trier è, come tutte le opere del cineasta danese, un film provocatorio, di difficile comprensione e nichilista fino al midollo. Von Trier ha costruito una intera carriera sulla spietata crudeltà con cui analizza fenomeni e vizi umani, descrivendo una umanità ormai condannata e irrecuperabile. Il film, seguendo una numerologia cara a Bertolt Brecht, è diviso in nove capitoli e un prologo, ambientati in una città che in realtà non è altro che un delirante set teatrale i cui abitanti sono solo figuranti, cani per l’appunto, in una comunità governata dal profitto e dalla sopraffazione. I cittadini, inizialmente ligi al proprio dovere e alla propria posizione sociale, saranno riusucchiati pian piano in una spirale di delirio e cattiveria.
La parola ai giurati – Sidney Lumet
Il film di Sidney Lumet è ambientato interamente in una camera di consiglio di un tribunale, nella quale dodici membri della giuria si interrogano su quale sia la decisione più giusta da prendere sul caso che stanno esaminando. La pellicola è una intelligente analisi della coscienza umana, dei luoghi comuni e di un certo “bigottismo” che rende ciechi e offusca la mente, ma soprattuto una disamina sul modo in cui le certezze morali dei giudici interferiscono sul loro giudizio. Le inquadrature si soffermano sulle espressioni facciali dei protagonisti, descrivendo minuziosamente i loro tentennamenti e i loro dubbi e mettendo a nudo le loro emozioni più profonde.
Carnage – Roman Polanski
Nel recente film di Roman Polanski, due coppie di genitori, interpretati da John C. Reilly e Jodie Foster e da Christoph Waltz e Kate Winslet, si riuniscono in un salotto per discutere di un litigio avvenuto fra i rispettivi figli. La pellicola, tratta da una pièce teatrale di Yasmina Reza, rappresenta una claustrofobica quanto brillante commedia sulla falsa gentilezza di una classe borghese frustrata e autoreferenziale, che riversa sugli altri i propri problemi e le proprie insicurezze. Riprendendo una modalità di scrittura tanto cara ad Osborne e Albee, misogina e violenta nel suo realismo, il cineasta polacco confeziona un film memorabile, dai conati di vomito di Nancy alle liti sui criceti. Nella consapevolezza che, in fondo, siamo tutti dei “figli di pu***na con un brutto carattere”.
Nodo alla gola (e La finestra sul cortile) – Alfred Hitchcock
Il noto thriller psicologico di Alfred Hitchcock del 1948 è stato idealmente concepito come un singolo, lunghissimo, piano sequenza. A causa dei limiti tecnici del tempo, però, il cineasta britannico fu costretto a ricorrere ad alcuni stratagemmi registici per sopperire alla scarsa autonomia della macchina da presa. Di tanto in tanto, infatti, uno degli attori veniva fatto passare brevemente davanti alla cinepresa, coprendone l’obiettivo. Le riprese allora venivano sospese in attesa che la camera si “ricaricasse”, per poi farle riprendere esattamente dallo stesso istante in cui erano state interrotte. Nonostante ciò, il film sembra scorrere senza impedimenti, e il “trucco” cinematografico può essere notato solo dai cinefili più accaniti. Ma impossibile non citare anche uno dei capolavori più importanti della storia del cinema, diretto ancora una volta dal “sir” più famoso del grande schermo, La finestra sul cortile. Uno splendido affresco sulle ossessioni della gente e su ciò che si nasconde dietro uno sguardo indiscreto di un fotoreporter che, immobilizzato su di una sedia, consuma le sue giornate osservando dalla finestra le abitudini dei vicini.