Mad Max: Fury Road, la recensione del folle action con Tom Hardy

Il 14 maggio la Warner Bros. Pictures distribuirà in tutti i cinema italiani uno dei film più attesi del 2015, Mad Max: Fury Road. Diretto da George Miller ed interpretato da Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult, Zoe Kravitz, Rosie Huntington-Whiteley e Megan Gale Mad Max: Fury Road riporta al cinema il Guerriero della Strada Max Rockatanski in una miscela esplosiva di azione, ironia ed incredibili effetti speciali.

Trama Mad Max: Fury Road

Ossessionato dal suo passato turbolento Max Rockatanski (Tom Hardy), ribattezzato Mad Max, crede che il modo migliore per sopravvivere ad un mondo dominato dai folli in cui non esiste più legge, energia elettrica, acqua e pietà sia muoversi da solo. Ma per via di una serie di incredibili circostanze si ritrova coinvolto nella fuga del gruppo guidato dall’Imperatrice Furiosa (Charlize Theron); il gruppo è sfuggito alla tirannide di Immortan Joe, cui è stato sottratto qualcosa di insostituibile. Furibondo Immortan Joe riverserà su Max e i suoi compagni di viaggio una caccia tanto terribile quanto spietata che renderà la Terra Desolata un luogo ancora più devastante di quanto sia mai stato.

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Recensione Mad Max: Fury Road

A distanza di quasi quaranta anni dall’originale torna al cinema la saga di Mad Max in una versione super patinata, super pop e, ovviamente, super cool. Il successo di questo inatteso riavvio di saga è dovuto proprio al fatto che in cabina di regia siede la stessa persona che urlo il primo ciak nel 1979 ad un giovanissimo Mel Gibson. Stiamo parlando ovviamente di George Miller, pietra miliare del cinema mondiale e regista di capolavori indiscussi come Le streghe di Eastwick, L’olio di Lorenzo e Happy Feet. Un regista che in quaranta anni di cinema ha diretto poco più di 11 film e che ha deciso nel 2015 di rimettersi in gioco riportando in auge uno dei film più celebri della sua carriera. Ed il risultato è più che vincente. Archiviato infatti l’ormai stagionato Mel Gibson e assoldato il bello e bravo Hardy George Miller compie quel miracolo riuscito solo in parte a Ridley Scott con Prometheus, ovvero rimettere le mani su un capolavoro della propria carriera senza fare disastri. Un’operazione che è sempre un grande rischio e che (guarda caso) vede raramente i registi originali cimentarsi con i remake delle opere più significative della loro carriera. Ed i motivi sono più che validi perché i tempi cambiano, gli effetti speciali si evolvono ed anche le tecniche di ripresa come le stesse telecamere sono ben diverse da quelle usate un tempo. Eppure Miller, dall’alto dei suoi settanta anni, dimostra di avere il cuore e la mente di un giovane nerd dando a Mad Max: Fury Road quella patina super pop perfetta per un film action dei nostri tempi.

Sin dalla primissima scena il reboot di Miller catapulta con violenza lo spettatore in quella folle corsa che dà il titolo all’opera; non è Max, né l’Imperatrice furiosa il centro del film, ma l’azione, esasperata e portata a livelli sconosciuti perfino ai vari Fast and Furious e Transformers, che tra una esplosione e l’altra qualche momento di pausa lo presentano. Mad Max: Fury Road invece non si ferma mai regalando due ore di pura adrenalinica azione che toglie il fiato attraverso sbalorditive tecniche di regia e giochi di colore che oscillano sempre tra il caldo giallo delle scene diurne ed il gelido blu di quelle notturne. Ma a colorare Mad Max: Fury Road non sono solo i colori scelti da Miller ma anche una schiera di mostri divertente nella sua eterogeneità, un gruppo di fanciulle splendide nella loro eterea bellezza e due co-protagonisti (Theron e Hoult) in grado di rubare più volte la scena ad un Hardy che avrebbe avuto bisogno di un personaggio sviluppato più a fondo per regalare l’ennesima delle sue grandi performances. Il risultato è, montaggio a parte, un film riuscito quasi al cento per cento che mantiene le altissime aspettative lanciate nelle spettacolari presentazioni del film. Mad Max: Fury Road infatti è un concentrato di pura e folle adrenalina che è impossibile non amare e che conferma una volta e per tutte George Miller come il padre del genere post-apocalittico.

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