Cannes 76 | Monster, il nuovo capolavoro umanista di Hirokazu Kore’eda

Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)
Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)

Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)
Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)

Il nuovo film di Hirokazu Kore’eda (che generalmente scrive da sé le opere che dirige) è inevitabilmente segnato dalla collaborazione con lo sceneggiatore televisivo Sakamoto Yuji, che co-firma il copione.

Cannes 76 | Monster, il nuovo capolavoro umanista di Hirokazu Kore’eda
4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

In Monster ritroviamo tutti i temi cari a Kore’eda (l’infanzia, la decostruzione del nucleo famigliare tipico che si ricompone liberamente aldilà dei vincoli di sangue, l’abbandono, il crimine) in un meccanismo narrativo che richiama quello di Rashomon, in cui i medesimi fatti vengono raccontati più volte da punti di vista differenti. Un modello che impone un “eccesso” di scrittura rispetto ai precedenti film del regista, una maggiore aderenza alle regole della finzione e meno a quelle del quotidiano.

I due giovani protagonisti di Monster (fonte: Festival de Cannes)
I due giovani protagonisti di Monster (fonte: Festival de Cannes)

Non è una decisione di poco conto, quella di lavorare ad una sceneggiatura di cui non si è effettivamente autori unici e principali, ma il vero fulcro di questa ennesima sofisticatissima operazione tra realtà e cinema che Kore’eda compie nel tentativo di fornire allo spettatore gli strumenti utili per applicare in autonomia il principio morale che da sempre guida il suo cinema a qualunque personaggio e a qualunque narrazione (anche quelle, quindi, che non sono condotte da lui).

Seguendo ogni volta un personaggio diverso non cambierà però soltanto quello che sappiamo sui fatti, ma il modo in cui vediamo e giudichiamo gli altri personaggi, sempre attraverso le ansie e le convinzioni di chi, in quel momento, ha in mano il boccino della narrazione. Così inizialmente, quando seguiamo la tutrice di un bambino, ci sembra che la storia che Kore’eda voglia raccontare sia quella di un ragazzo con problemi mentali, maltrattato da un insegnante in una scuola omertosa che lo copre e avalla il suo comportamento malato e violento.

Ci sembra addirittura che il bambino abbia cominciato a praticare autolesionismo e che quindi possa decidere di togliersi la vita da un momento all’altro. Ma, poco dopo, capiremo che quella non è la realtà, ma solo la paura della donna che lo accudisce, che vive nel terrore che il ragazzo possa farsi del male. Tutto cambierà più volte lungo il film e ad ogni nuova svolta il “mostro” sembrerà qualcun altro, non solo grazie alla scrittura ma attraverso la recitazione, la color correction e la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto, ogni volta orientata diversamente in modi così sottili da non accorgersene neanche.

Monster | un film per comprendere meglio la realtà

C’è felicità di regia, senza fronzoli, diretta dalla dualità prospettica, e c’è come sempre la facilità di sentire, di aderire senza costrizione alcuna ai sentimenti dei personaggi che osserviamo, perché il triangolo tra madre, figlio e maestro si apre nella libertà di una corsa sul terreno bagnato dopo la pioggia, verso la possibilità di un altro cambio di prospettiva, se non proprio di un’altra storia.

Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)
Una scena di Monster (fonte: Festival de Cannes)

Stavolta Kore’eda, che da sempre gioca con il tempo del cinema per restituire, attraverso il montaggio, le insoddisfazioni e le lacune di comprensione che inevitabilmente continueranno ad esistere, sembra interrompere il film prima del dovuto, lasciando lo spettatore nella convinzione che, se avesse potuto vedere ancora una volta la storia dal punto di vista di quelli che gli erano sembrati i peggiori, cattivi o meschini, avrebbe capito anche loro.

Quello di Monster, ancora una volta, è un cinema che disattende le apparenze, che chiede uno sforzo in più di indagine, antropologica e filosofica, finendo per assumere, senza presunzione o forzatura, una valenza metatestuale, in cui l’approccio dello spettatore al film è lo stesso che Kore’eda chiede di utilizzare nel mondo di tutti i giorni, per vivere meglio con gli altri, tra gli altri, per gli altri.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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