Mr. Robot, nella mente di un hacker giustiziere

Quello che sto per dirti è top secret. Una cospirazione più grande di tutti noi. Là fuori c’è un potente gruppo di persone che governa segretamente il mondo. Parlo di tizi che nessuno conosce, tizi che sono invisibili. L’1% dell’1%. I tizi che giocano a fare Dio, senza avere il permesso. E credo che ora mi stiano seguendo.” Certe storie si giocano tutto nei primi minuti. Una parola detta al posto di un’altra, una scelta di tono, sono cose che fanno la differenza, ed è il caso di Mr. Robot, la serie andata in onda quest’estate sull’emittente americano Usa Network pronta a sbarcare sui nostri schermi a Dicembre. Creta da Sam Esmail, si presenta al pubblico con un episodio pilota destabilizzante e carico di inquietudine, di fatto modellato da un occhio attento come quello di Niels Arden Oplev (il regista di Uomini che odiano le donne). La voce che sentite in diffusione appartiene a Elliot Alderson, il protagonista: ingegnere informatico a New York, lavora presso la ditta Allsafe e di notte, per reprimere l’ansia constante che lo rende sociofobico, si trasforma in uno spietato hacker e stalker informatico. L’incontro con Mr. Robot, un anarchico idealista, lo introduce in un gruppo chiamato fsociety che condivide il sogno di liberare l’umanità dai debiti con le banche e incastrare i corruttori, dichiarando guerra alla multinazionale Ecorp (Evil Corporation, secondo Elliot), principale cliente della Allsafe.

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L’ombra del contemporaneo ricopre il lavoro di Esmail di un’atmosfera nella quale siamo tutti, chi più chi meno, immersi. Parlare di reti di comunicazione oggi, corrisponde a indicare uno dei progressi maggiori dell’uomo che ha trasformato la vita in uno schermo gigantesco dove non c’è niente di privato. Elliot, interpretato da Rami Malek, è il risultato “genetico” di questo tempo, un clone senz’anima dipendente dalla morfina, che attenua il dolore lasciandolo sprofondare in uno stato di perenne solitudine e asocialità. Sono queste le basi tematiche di Mr.Robot, già confermata per una seconda stagione dopo l’incredibile successo di critica e pubblico, un prodotto inusuale ma perfettamente calzante con la contemporaneità perché raccoglie l’eredità dei grandi racconti (l’eroe solitario e il suo dualismo, il nemico rappresentato dalle nuove istituzioni, cioè le multinazionali) trasformandola in spettacolo con un linguaggio acuto e flussi di coscienza. Non mancano le accuse ai bersagli della società presente, come i social network o i falsi miti (Steve Jobs, le saghe letterarie alla Hunger Games), definiti degli “anestetizzanti” dal protagonista, che insieme alla complotto informatico formano una confezione quasi impeccabile di ottime interpretazioni (più di tutte, quella di Rami Malek) e contenuti da genere thriller che aumentano la curiosità dello spettatore. “Tutto il mondo non è che un grande imbroglio”, e noi ci siamo dentro. Fa paura dirlo, di più vederlo rappresentato con così tanta spietatezza.