Già presente lo scorso anno al Far East Film Festival con il film Unbowed, il regista Chung Ji-Young torna a Udine con il suo nuovo film National Security, ispirato alle memorie scritte di Kim Geuntae, ex Ministro della Salute coreano che nel 1985, durante il regime di Chun Doo-hwan, era leader del movimento in favore della democrazia.
Un giorno come tanti Geuntae viene strappato alla sua famiglia e rinchiuso nel centro di tortura di Namyeongdong, dove rimane per 22 giorni. Subisce le sevizie e gli abusi più terribili, inferti per ottenere da lui una confessione di collaborazionismo con il regime comunista nordcoreano di Kim Sung-Li. Chung Ji-Young, cineasta attivo politicamente negli anni ’80 e ’90, porta sul grande schermo il resoconto accurato e disturbante del rapimento e della prigionia di questo politico coreano perseguitato, senza risparmiare scene intrise di brutalità e violenza. Il tema affrontato è senza dubbio difficile e delicato e, tenendo conto delle testimonianze dello stesso Kim Geutae e di altre persone che hanno vissuto la stessa triste vicenda, il regista ha cercato di realizzare un film vero e proprio atto di denuncia, ponendo sotto i riflettori una scomoda verità che si nasconde negli ambienti governativi del suo paese. Tratto quindi da una storia vera, National Security è forse uno dei racconti cinematografici più dolorosi degli ultimi anni, che offre un importante spunto di riflessione sul totalitarismo e le sue drastiche conseguenze.
La scena si sposta raramente dall’ambiente claustrofobico della prigione, grigia, fredda ed inquietante, in cui Geuntae viene trattenuto contro la sua volontà, senza poter dormire e sottoposto a violente punizioni e torture anche nei momenti in cui cede e vuole confessare qualcosa. I suoi aguzzini sono ritratti come uomini senza scrupoli, difficilmente mossi a pietà anche nelle situazioni più drammatiche e crude, e la maggior parte del film è emotivamente disturbante e coinvolgente, soprattutto per l’estrema frontalità che il regista sceglie come linea guida della struttura narrativa. La sceneggiatura e la fotografia sono degne di nota, mentre non si sfugge da alcuni momenti ripetitivi che calcano la mano spesso sullo stesso dettaglio. Va bene che si tratta praticamente di un film incentrato sulla tortura, ma quasi due ore di proiezione in cui l’85% mostra le sevizie dalla preparazione all’azione, rischia di appiattire il ritmo e parcheggiare la scena in un angolo. National Security è un film forte e necessario, che indaga nell’anima e nella mente di un uomo, privato della sua dignità e spettatore dei suoi diritti calpestati senza esitazione. Da vedere.
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