Anche a noi, poveri giornalisti rimasti a Roma, è stato concesso di vedere il chiacchierato Grace di Monaco, film che ha aperto il Festival di Cannes 2014. Il regista francese Olivier Dahan, che ha firmato pellicole come La Vie En Rose, I Fiumi di Porpora 2 e la più recente commedia Dream Team, racconta sul grande schermo la favola reale di Grace Kelly, diva del cinema negli anni ’50 e musa di Alfred Hitchcock, divenuta Principessa di Monaco in seguito al matrimonio con il Principe Ranieri III.
Considerato da molti un biopic, Grace di Monaco non racconta la vita di questa icona femminile di un’epoca, ma si limita al periodo tra il 1961 e 1962, in cui Monaco è investita da problemi politici ed economici persistenti e Grace Kelly deve adeguarsi al protocollo, alla sua nuova posizione, rinunciando per sempre alla sua passione per il cinema. Dopo aver affrontato la vita difficile e intensa di Edith Piaf, il regista Dahan torna a voler tracciare il ritratto di una donna forte e fragile allo stesso tempo, confezionando un melò romantico e popolare, percepito nel totale come una coinvolgente favola moderna. Oltre a Tim Roth nei panni del Principe Ranieri, una delle figure chiave del film è Frank Mingella che interpreta Padre Francis Tucker, caro amico e confidente della Principessa per i primi sei anni del suo matrimonio. “La vera favola è credere che la mia vita sia una favola” diceva la vera Grace Kelly. Nicole Kidman, nonostante la discussa somiglianza fisica con la bionda icona senza tempo, regge perfettamente il ruolo, anche nei numerosi primi piani che il regista ricerca ostinatamente in molte scene, denunciando la sua forte ambizione estetica, costruita in gran parte, su un impianto volutamente classico.
Fin dal piano sequenza iniziale dallo stile indubbiamente retrò, il film respira un’atmosfera onirica e preziosa, in cui i personaggi si muovono lentamente e a loro agio, ruotando tutti intorno alla protagonista, sulla quale non è rivolta soltanto l’attenzione del pubblico e degli altri personaggi, ma anche quella del regista e del direttore della fotografia, che utilizzano ogni mezzo per far risaltare la sua figura e la sua essenza così aggraziata, dolce e moralmente imperturbabile. La ragazza di Philadelphia e la Principessa elegante e compassionevole diventano, in questo film, un’unica figura popolare e fantastica, che tiene conto di una documentazione reale di quegli anni, ma lascia spazio anche alla visione del regista che ha deciso di mostrarla in una luce leggera ed eterea, ricordandola per la sua grazia e il suo buon cuore. Il ruolo della principessa infelice fa ricordare facilmente altre storie simili, come quella della Principessa Diana, ma Grace di Monaco, forte di una regia avvolgente e originale e di una sceneggiatura lineare, risulta un film piacevole ed emozionante, con un cuore tenero che batte all’interno di una scorza ruvida ed enigmatica.