Non nuovo a dedicare le proprie attenzioni ad un animale, al punto di farne il protagonista di un proprio film, Jean-Jacques Annaud dopo L’orso (1988), presenta L’ultimo Lupo in uscita dal 26 Marzo. “Il libro da cui è tratto (Il totem del lupo di Jiang Rong, Mondadori) – ha detto alla conferenza stampa il regista – è quello più venduto in Cina dopo il Libretto rosso. Ogni scena poi di questo film, che mi è costato sette anni di vita, è al 99% originale“. Una cosa davvero difficile da credere, perché le scene che si vedono sono da cartoon: l’addestratore di lupi mongoli, Andrew Simpson ha reso affidabili questi animali che ha cresciuto uno per uno prima della lavorazione.
Dal regista de “Il nome della rosa“, “Sette anni in Tibet” e “L’orso“, arriva questa “storia sentimentale” che in qualche modo ha riguardato il regista francese. “Cloudy, il re dei lupi, dall’inizio ha preso a girarmi intorno, ad annusarmi, gli sono piaciuto e tutte le mattine c’erano dieci minuti di passione, mi prendeva il naso, l’orecchio, mi leccava la faccia. Nonostante l’amore – prosegue Annaud – ci sono state scene davvero difficili da girare come quelle in cui far correre insieme lupi e cavalli: ai lupi piace la carne dei cavalli e ai cavalli non piace diventare pasto per lupi”. Un film, comunque, da 40 milioni di dollari, 480 tecnici, 200 cavalli, un migliaio di pecore, 25 lupi e una cinquantina di addestratori girato in tutto e per tutto in Mongolia. Il lavoro, manco a dirlo, è sostenuto dal WWF e dalla sua campagna “Adotta un lupo”, volta a diffondere una corretta conoscenza del lupo in Italia e a tentare di salvaguardarlo come specie, visto che – come si legge all’indirizzo wwf.it/lupo – “oggi muoiono più lupi che in passato: ne vengono uccisi oltre il 20% ogni anno”. “È in atto un pericoloso ritorno al passato, che rischia di cancellare gli straordinari sforzi finora fatti per la conservazione di questa specie e la messa a frutto delle migliori esperienze di convivenza uomo-predatori già avviate in molte parti del nostro paese – ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia – La storia da cui è tratto il film chiarisce molto bene come siano saltati gli equilibri su cui si basa la convivenza tra lupi e uomini e quanto questo provochi l’accanimento di questi ultimi verso i predatori”. E prosegue: “Una favola, quella del “lupo cattivo” da ribaltare, insomma. Magari anche grazie alla forza di un film, si spera capace di scardinare alcuni ostacoli culturali che impediscono la corretta conoscenza nel nostro paese di questa specie ‘simbolo’ della natura selvaggia e tanto importante per gli equilibri naturali da poter diventare una specie di bandiera per alcune aree, capace di portare addirittura benefici, sfruttandone a scopo turistico immagine e presenza“.
Sembra un po’ di essere tornati ai tempi de L’orso: natura selvaggia, scorci paesaggistici e animali. Con in più quel fil rouge che lega un po’ tutta l’opera di Annaud ossia l’amicizia, anche stavolta centrale, dato che Wolf Totem scava proprio nel rapporto tra il protagonista ed un piccolo lupacchiotto cresciuto fuori dal branco, tra le cure amorevoli di un essere umano. Insomma, il regista anche stavolta si gioca le proprie carte, e speriamo per lui che sia un bel giocare; d’altronde i presupposti, tra ecologismo, animalismo e diritto all’autodeterminazione, ci sono tutti. In più si paventa pure un alto grado di epicità. E alla domanda “In quale animale ti rispecchi?”, Jean-Jacques conclude con un ironico: “Sul mio passaporto c’è scritto che sono un uomo”.