La nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma volge al termine con la simpatia di Ficarra e Picone, ma anche con un ricordo di Phillip Seymour Hoffman, scomparso improvvisamente lo scorso Febbraio. La Notorious Pictures ha presentato per l’occasione La Spia – A Most Wanted Man, il film diretto da Anton Corbijn, che segna l’ultima interpretazione dell’attore e sarà nelle sale italiane a partire dal 30 Ottobre 2014. Morto a sole due settimane dalla fine delle riprese del film, Hoffman ha diviso la scena con Rachel McAdams, Robin Wright, Daniel Bruhl e Willem Dafoe. Quest’ultimo, insieme al regista, è stato ospite del festival, per raccontare l’esperienza sul set di questo film che segue le orme del precedente La Talpa di Tomas Alfredson, ispirato anch’esso ad un romanzo di John Le Carrè, per una storia di spionaggio e thriller politico.
“Sono stato molto contento che il film fosse già finito prima della sua morte, per non prendere certe decisioni in fase di montaggio. Rivedere il film dopo è stato molto difficile. Il film, con questo triste evento, ha assunto un peso che non ci aspettavamo e che non volevamo. Alcune persone hanno tracciato similitudini tra la sua vita privata e questo film e, vedendolo dopo, si potrebbe notare un’intensità della sua performance un po’ particolare” ha dichiarato Anton Corbjin, mentre Dafoe ha aggiunto: “Non ho più visto il film dopo la sua morte, l’ultima volta è stata al Sundance Film Festival. Phil è morto due settimane dopo il film. Ricorderò sempre il lavoro fatto con lui“. Ambientato tra Amburgo e Berlino, il film racconta la vicenda di un misterioso uomo in fuga, di nome Issa. Vagabondando per la città, quest’ultimo finisce a casa del boxer Melik Oktay e sua madre, entrambi residenti turchi-musulmani ad Amburgo. I due, senza saperlo, innescano una catena di eventi che coinvolgono le agenzie di intelligence di tre paesi. Issa, che afferma di essere uno studente musulmano di medicina, è, in realtà un terrorista ricercato e il figlio del colonnello dell’Armata Rossa Grigori Karpov, la cui notevole eredità è tenuta nascosta in una banca di Amburgo. “Il film è ambientato ad Amburgo perché la storia del libro è ambientata lì. Come regista è stato fantastico lavorare in quella città, perché non è usata solitamente per le riprese di film. Ogni luogo era bello perché nuovo all’occhio dello spettatore, fresco e senza ricordi di altri film. Per un regista è un grande dono. Il film ‘American Friend’ di Wim Wenders nel 1970 è stato girato lì, ma oggi di solito la città è usata per le serie tv” ha spiegato Corbjin, facendo anche riferimento al problema della lingua in cui girare i dialoghi del film. “Con Philip abbiamo parlato molto prima di iniziare le riprese, soprattutto della scelta della lingua da utilizzare nel film. In Schlinder’s List per esempio, parlano un inglese con un accento tedesco, e noi abbiamo seguito quella strada. Con diversi attori tedeschi doveva esserci una certa continuità. Willem (Dafoe) è un anglo austriaco nella storia, che ha studiato ed è cresciuto presumibilmente in un collegio, quindi parla un inglese perfetto, mentre per Phil e Rachel abbiamo lavorato molto sull’accento. Il personaggio di Hoffman è una persona che continua a credere nell’umanità, un personaggio immerso nel lavoro, non islamofobo e che non ha molta cura di se stesso perché preso da altro. L’accento è stato fondamentale per lui, perché era il suo primo ruolo europeo“.
“E’ stato un attore che ho sempre ammirato” ha raccontato Willem Dafoe ricordando il collega scomparso, continuando “Lui era uno di quei casi di attore americano che nasce a teatro, arriva al cinema e poi torna a teatro. Aveva sempre progetti al teatro e io mi identifico molto con questo. Ha iniziato con ruoli di persone che ispiravano simpatia, ruoli da vittima e poi il suo repertorio si è espanso, ha assunto maggiore gravitas ed è stato un esempio di sviluppo positivo. Era una persona alla mano, non presuntuoso, ma diretto e capiva cosa serviva per collaborare e creare qualcosa. Non esiste un tipo alla Phillip Seymour Hoffman, era particolare e aveva questa capacità di essere forte nella sua performance, solido e nello stesso tempo flessibile per essere trasformato in qualsiasi ruolo”. Nella sua carriera anche Dafoe ha dato prova di una certa versatilità, non solo per il tipo di ruolo, ma anche per la trasformazione da protagonista a personaggio di supporto e viceversa. Riflettendo su questi passaggi della sua natura professionale, l’attore ha spiegato: “Ogni progetto è diverso, devi immaginarti le tue responsabilità per un determinato film e ruolo che devi fare. Il mio compito è capire il mio spazio nella storia, se esagero con un piccolo ruolo non funziona, ma se come protagonista non faccio abbastanza, non funziona lo stesso. Devo individuare il mio posto in quel mondo creato dal regista o dallo sceneggiatore. E capire come quello si adatta alla mia immaginazione. Per Pasolini ho fatto tanta ricerca per un lungo periodo, per entrare nel suo modo di pensare e di essere”.
“Era importante che questo risultasse un film autunnale, per questo la gamma di colori è fatta di gialli, marroni e rossi. Il film doveva parlare dell’autunno dell’umanità” ha sottolineato infine il regista, aggiungendo che La Spia – A Most Wanted Man è “un film estremamente attuale, anche perché Hoffman non c’è più. Io ho cercato di trasferire le cose del libro nel film, ma ci sono una serie di intrecci complessi da raccontare“.