Dopo L’ultima volta che siamo stati bambini di Claudio Bisio e la recente serie di Susanna Nicchiarelli (Fuochi d’artificio), anche Giorgia Farina, tra le registe di commedie più inventive che abbiamo in Italia, sceglie di raccontare gli anni del fascismo attraverso lo sguardo di un bambino. Ma in realtà Ho visto un re parla anche di tanto altro.
Siamo nel 1936. Mentre l’Italia si inebria della campagna fascista in Etiopia, un evento eccezionale sconvolge la placida quotidianità di una piccola città della provincia italiana: un Ras etiope viene catturato e tenuto prigioniero in una voliera nel giardino della villa del Podestà locale.
La sua presenza misteriosa accende l’immaginazione degli abitanti, ma soprattutto quella di Emilio, un ragazzino di dieci anni, figlio dello stesso podestà e appassionato lettore di Salgari, specialmente delle avventure di Sandokan. All’apparizione del principe etiope, la linea tra sogno e realtà scompare e il malcapitato prigioniero, nella sua fantasia, diventa proprio quell’eroe che aveva imparato ad ammirare nei romanzi.

Ho visto un re | riflessione sul ruolo dell’eroe
Attraverso la sovrapposizione tra realtà e finzione, tra invenzione letteraria e resoconto storico, il film di Giorgia Farina diventa sempre più un film che riflette sul concetto di rappresentazione, di come “l’altro” possa entrare nel nostro campo di integrazione e comprensione. «L’eroismo non è sovrumano», scriveva Italo Calvino per celebrare gli eroi della Resistenza, e così allo stesso modo la regista, rifacendosi alla lezione di Salgari, riconduce nuovamente la figura eroica dentro le regole dell’umano.
L’agire dell’eroe ribadisce e ridefinisce sempre le sue virtù, di esempio a tutti, e connota efficacemente la principale dote di una figura lontana dal superoismo del cinema contemporaneo, ma caratterizzato invece dall’ordinarietà. Semmai è l’eccezionalità del gesto compiuto, topos dell’eroe fin dall’epica omerica, a fare la differenza.
E non è quindi un caso che questa riflessione sul ruolo dell’eroe avvenga in un film ambientato in un contesto storico buio e drammatico per l’Italia, ma che è anche il preludio a quel sussulto di dignità che scaccerà il fascismo dalla penisola, a quella Resistenza che di eroi ne ha covati tanti. Anzi, forse è proprio la Resistenza, come in qualche modo sottolineava proprio Calvino, ad aver reso possibile nella letteratura popolare del nostro Paese – la più “esotista” del mondo – immaginare un eroe che fosse in tutto e per tutto italiano.

La favola di Giorgia Farina
Un folgorante inizio che mescola live-action e animazione digitale fa immaginare uno sviluppo visivo che poi in realtà non avrà seguito nel corso del film, eppure Ho visto un re – ispirandosi anche alle tavole art nouveau presenti nei libri di Sandokan – mantiene fino alla fine l’impostazione del cinema d’animazione: nei colori, nelle scenografie, ma anche nel modo in cui vengono ripresi i protagonisti in relazione allo spazio che abitano.
È spesso la scelta stessa dell’inquadratura, del punto macchina, a far nascere la risata, a sottolineare l’ironia di una determinata situazione, in un’opera che utilizza un linguaggio – verbale e cinematografico – audace se si considera la volontà, mai celata, di arrivare anche a un pubblico di spettatori molto giovani.
Non sceglie la strada più facile e più veloce, non appiattisce la propria narrazione nella convinzione (e nel pregiudizio) di trovarsi davanti a un pubblico senza strumenti di decodifica, ma invece si permette di lavorare sulle sfumature, sull’ambiguità di personaggi mai completamente buoni o cattivi, su di una narrazione che procede anche in maniera sgangherata e naif, ma che conserva intatta la sua vitalità, la sua espressività, la sua voglia di intraprendere un percorso differente e inusuale. Le storie possono ancora salvarci, ma anche queste vanno trattate con serietà e rispetto nei confronti di ciò che si vuole rappresentare attraverso di esse.