Un trentenne annoiato alla cena di famiglia. Al suo stesso tavolo siedono una madre che si esprime solo per luoghi comuni, un padre che si compiace dei suoi infiniti aneddoti sul servizio militare, una sorella che descrive nei più piccoli dettagli le ultime decisioni riguardanti il riscaldamento di casa sua, un cognato pedante e saccente che ripete sempre le stesse cose. Ma è proprio lui, il futuro sposo di sua sorella, a sorprendere il protagonista con una richiesta inaspettata, invitandolo a preparare un discorso per l’imminente matrimonio.
Questa proposta inattesa diventa così il pretesto per il protagonista-narratore de Il Discorso Perfetto per lasciarsi andare ad un velenoso flusso di coscienza davanti alla macchina da presa. Nel mirino del film diretto da Laurent Tirard finiscono i temi tradizionali delle commedie francesi: l’amore, il matrimonio, i tradimenti, l’ipocrisia del microcosmo familiare e le idiosincrasie piccolo-borghesi. Tirard è però abbastanza bravo da non trasformare il romanzo perfidamente ironico di Fabrice Caro in una commedia piatta e stupidamente misantropica, cercando all’interno del suo stesso film un antidoto all’odio molto convenzionale che mette in scena.
Il Discorso Perfetto | come salvarsi dalla misantropia
Lì dove, nel romanzo originale, c’era un sincero disgusto per il mondo e le persone che lo popolano, nel film sembra esserci invece una malcelata insofferenza proprio nei confronti di quei vecchi riflessi cinici che il cinema europeo ha stancamente ripetuto nel corso degli anni. Paradossalmente, è proprio nei momenti in cui il protagonista si difende dalla sua stessa cattiveria, cercando di cacciare via i pensieri crudeli sulle persone che lo circondano, che il film trova una sua dimensione ottimale, eludendo il rischio, sempre molto presente, di rimanere impantanato nell’uso ripetitivo dei propri meccanismi narrativi e nei tic di ostentata ferocia.
La parola domina l’intero film, ne detta i ritmi e diventa l’arma fondamentale di Adrien per una riflessione esistenziale sulla propria famiglia, “il regno del non detto e del consenso rispettoso”. Ma allo stesso tempo è l’elemento che infonde speranza, che permette al protagonista di immaginare un epilogo sereno per la sua vicenda amorosa. Lì dove c’è un’assenza di parola, c’è un vuoto di sentimenti, un’apatia insostenibile. È su questa contraddizione, la parola come “lancia del Pelide”, che da un verso ferisce, dall’altro guarisce, che si gioca tutto il film.
La parola che ferisce e guarisce
Benjamin Lavernhe, nel suo primo ruolo da protagonista assoluto, si dimostra capace di trattenere gli eccessi della recitazione, impedendo alla frustrazione del suo personaggio di trasformarsi in rabbia. Il comprimario più ingombrante de Il Discorso Perfetto è però il tempo: Adrien vorrebbe manipolarlo, andare “avanti veloce”, da quando la sua fidanzata Sonia (Sara Giraudeau) gli annuncia di voler “mettere in pausa” la loro relazione. Il film da quel momento comincia a riflettere sulla diversa percezione del tempo cinematografico, lasciando che la narrazione proceda su diverse linee temporali, tra flashback e flash forward.
Laurent Tirard mette spesso in pausa il suo stesso film, accentuando il fatto che si è costretti a vivere a velocità normale, che si debba necessariamente aspettare per avere tutte le risposte e che il cinema può essere contemporaneamente uno strumento di condensazione e dilatazione.