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La casa degli sguardi, recensione: il dolore rende fragili, ma spinge a rinascere

Luca Zingaretti, all’esordio da regista, è attore, co-produttore e co-sceneggiatore per La casa degli sguardi, tratto dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli.

3.1 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Dopo il fortunato adattamento in serie tv di Francesco Bruni, stavolta è Luca Zingaretti, al suo esordio dietro la macchina da presa, a cimentarsi con una trasposizione del materiale letterario di Daniele Mencarelli, autore nel 2018 de La casa degli sguardi: la storia di un 23enne con problemi di alcolismo che, dopo un brutto incidente stradale, viene spinto dal padre (interpretato proprio da Zingaretti) a lavorare come addetto alle pulizie all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma.

Nelle storie di Mencarelli c’è sempre un doppio movimento, introspettivo e allo stesso tempo totalmente aperto all’altro. Un ritratto che è sia in parte autobiografico (dell’autore), quanto effettivamente cucito addosso ai suoi giovani protagonisti, raccontati nelle fragilità tipiche della loro generazione e mai giudicati con le convenzioni del passato, secondo gli schemi dell’adolescenza vissuta da chi ne scrive (o li mette in scena). 

Nel corso di questi ultimi anni, dopo anche il successo della serie Netflix Tutto chiede salvezza, sembra essere nato un piccolo filone Mencarelli tra cinema e serie tv, senza però mai davvero trovare l’afflato cinematografico che tiene insieme il gesto contemporaneamente di immedesimazione nell’altro e di autoanalisi, tipico ad esempio di un certo cinema d’oltralpe come quello di Christophe Honoré.

Luca Zingaretti La Casa degli Sguardi
Luca Zingaretti nel film La Casa degli Sguardi (Foto: Lucky Red) – Newscinema.it

Anche in questo caso, è difficile riconoscere uno “sguardo” personale di Zingaretti come regista, una sua peculiare cifra stilistica, ma sicuramente questo suo primo tentativo indica senza fraintendimenti quali sono tematiche e contesti che gli interessa esplorare, un perimetro emotivo e umano dentro al quale muovere la propria indagine, senza condanne né ostentazione del dolore, ma con un pudore che – in alcuni momenti – rasenta quasi la freddezza.

La casa degli sguardi, Zingaretti regista

Quello di Zingaretti è innanzitutto un film che non si fa mai parabola morale, favola di rinascita, come tante volte le abbiamo viste al cinema, ma mette in scena invece un percorso di miglioramento personale che non vuole essere definitivo, auto-conclusivo. È una risalita personale che non ha nulla di clamoroso e tantomeno di risolutorio, ma invece è tutta raccontata attraverso sfumature, contraddizioni, ricadute.

Una scelta di realismo che, inevitabilmente, è anche una scelta poetica, quella di non rendere la lotta contro le proprie fragilità qualcosa che si può solo vincere o perdere. Come spesso avviene in questo tipo di racconti, è lo scoprirsi parte di una nuova comunità ciò che permette di rialzarsi, di ripensare se stessi all’interno di un gruppo eterogeneo di individui.

Gianmarco Franchini nel film La Casa degli Sguardi (Foto: Lucky Red) – Newscinema.it

Ma ovviamente La casa degli sguardi è anche un film sul rapporto tra genitori e figli, sulla possibilità di riconoscersi gli uni negli altri, partendo dalla consapevolezza di stare raccontando, forse per la prima volta, una generazione di ragazzi e ragazze che non pensano che il loro futuro sarà migliore di quello che hanno vissuto i loro padri.

Gianmarco Franchini, rivelazione in Adagio di Sollima, è molto bravo nel farsi carico di questa inquietudine straordinaria e mostruosa, rivelando anche la capacità del suo regista nel dirigerlo con maestria e generosità (cosa che in teoria sembrerebbe scontata per un attore che passa dall’altro lato del campo, ma che spesso, alla prova dei fatti, non lo è davvero).

Un perimetro umano ben definito

Il giovane protagonista del film ricomincia a vivere proprio quando capisce che dal dolore non si può sempre fuggire e che anzi, a volte, va accolto e abbracciato. Sentimenti che il ragazzo elabora anche attraverso la poesia: una forma d’arte di cui è sempre difficile parlare attraverso le immagini, ma che Zingaretti prova a raccontare nella sua capacità meravigliosa di sintetizzare storie, vite, emozioni, sentimenti in una frase o poco più. Una forma d’arte, o meglio, d’espressione, spesso ritenuta escludente, alla portata di pochi, ma che in realtà accomuna – anche segretamente – tantissime persone.

D’altro canto, il padre del ragazzo è un uomo semplice, che non ha i mezzi per mettere mano al disagio del figlio, non sapendo come maneggiarlo, ma che dimostra in ogni momento la volontà di provarci. Ed è proprio in questi due modi differenti di gestire il dolore, determinati anche dalle differenze anagrafiche, che La casa degli sguardi trova la sua forza e la possibilità di raccontare, tra le altre cose, una mascolinità fuori dagli stereotipi.

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Davide Sette
Davide Sette
Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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