La città proibita, recensione: il Kill Bill alla carbonara, con panna e senza guanciale

Yaxi Liu La città proibita
Yaxi Liu (alias Mei) in una scena de La città proibita (Foto: Ufficio stampa) - Newscinema.it

Arti marziali, sottotrame mafiose e tanta romanità, questi sono gli ingredienti principali de La città proibita, nuovo progetto firmato da Gabriele Mainetti, che conquista nei momenti action ma delude nel suo totale.

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3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Giunto al suo terzo lungometraggio, Gabriele Mainetti (regista e co-sceneggiatore) porta in scena questa volta una storia al femminile, piena di già visti ma anche diretta magistralmente. Se da un lato La città proibita è un film quasi totalmente privo di originalità, dall’altro non teme il confronto con grosse produzioni internazionali quando si tratta di mostrare combattimenti e acrobazie.

Siamo a Roma e Mei (Yaxi Liu), una ragazza cinese misteriosa e apparentemente aggressiva, è alla ricerca della sorella scomparsa. Sulla sua strada però si imbattono svariati personaggi che da un lato cercheranno di aiutarla dall’altro la combatteranno.

Uno di questi è un giovane cuoco, Marcello (Enrico Borello), che insieme alla madre Lorena (Sabrina Ferilli) cerca con fatica di portare avanti la trattoria romana di famiglia, dopo che il padre se n’è andato. Dal loro incontro nasceranno presto varie ramificazioni, alcune proiettate verso il lato più raggiante della medaglia altre invece verso il sottosuolo criminale di Roma.

Enrico Borello (alias Marcello) in una scena de La città proibita
Enrico Borello (alias Marcello) in una scena de La città proibita (Foto: Ufficio stampa) – Newscinema.it

Un film derivativo e prevedibile

Parte alla grande La città proibita, questo è inutile negarlo, con una sequenza action densa di violente mosse marziali ottimamente coreografate e di certo coinvolgenti. Ben presto però, quello che poteva essere un film di puro intrattenimento calato in una storia emotiva al passo coi tempi, diventa qualcosa di molto derivativo e prevedibile.

Tra John Wick e Kill Bill, ma se ne potrebbero citare molti altri, La città proibita di Mainetti diventa un misto di situazioni già viste o di forte rimando visivo, in cui la struttura narrativa rimane però sterile, poco originale. Combattimenti che diventano via via sempre meno presenti, rapporti tra i personaggi che non assumono stratificazione ma rimangono a galla e tantissimi, più o meno piccoli, dettagli che sporcano il gusto dell’intrattenimento.

La città proibita si dilunga inutilmente

Sono 135 i minuti che servono a Mainetti per raccontare a modo suo La città proibita e forse è proprio questo uno dei problemi più ingombranti del film. Estremamente dilatato e sbrodolante si perde in mille sottotrame evitabili, che tra l’altro non approfondisce nemmeno.

Troviamo quindi ad esempio la storia di un boss mafioso cinese che pare adorare il figlio ma non avere rapporto con quest’ultimo. Peccato che né scopriremo mai la motivazione (che sarebbe stato anche interessante), né questo rapporto troverà un senso logico, se non al fine di portarci forzatamente a uno snodo finale del film.

Il grosso problema è che questo giochetto di aprire ramificazioni senza poi dare un vero senso, il film lo fa in continuazione. Dal personaggio di Sabrina Ferilli totalmente inutile per come viene raccontato a quello di Luca Zingaretti che appare a un certo punto in un flashback, quasi più a farti esclamare “oh è Luca Zingaretti” che altro. Troppe linee narrative, troppo blande e superficiali, troppo piatto nella resa generale. Va da sé quindi che la conseguenza automatica sia un appesantimento del risultato finale.

La città proibita non ha spessore né trasporto emotivo e nonostante i suoi 135 lunghi minuti, spesi in parte a ricercare invano un legame con lo spettatore, non riesce a farti empatizzare mai. A questo punto sarebbe potuto essere un semplice film wuxia di soli cazzotti, che sarebbe andato benissimo, ma appunto si sarebbe potuto fermare a 90 minuti.

Sabrina Ferilli e Marco Giallini in una scena de La città proibita
Sabrina Ferilli e Marco Giallini in una scena de La città proibita (Foto: Ufficio stampa) – Newscinema.it

Momenti ironici che distruggono il mood

La linea stilistica che La città proibita segue e insegue, non sempre è chiara. Fin dall’inizio, anche grazie alle tematiche che affronta e il tono cupo che sceglie, sembra prendersi sul serio ma poi, qua e là, scivola in fugaci momenti puerili che potrebbero destabilizzare.

Macchiette già viste e riviste, oltre che del tutto inefficaci, come il personaggio di Annibale (Marco Giallini) o altre che di primo impatto sembrerebbero pensate per intimorire ma che quando le vedi ballare in modo ridicolo su una canzone allo stereo, diventano istintivamente innocue. Al film piace annientare le aspettative, ma quando questo non trova una quadra finisce per non essere positivo, al contrario risulta solo confusionario.

I pochi punti di forza

Finalmente è arrivato il momento degli applausi. Sì perché La città proibita di punti lucenti ne ha ma sono quasi tutti da attribuire a quei nomi che troppo spesso vengono oscurati. Mettendo da parte per un attimo Gabriele Mainetti stesso, che essendo il regista ha di certo il merito di aver fatto un enorme lavoro in termini di movimenti di macchina, gli altri aspetti davvero riusciti del film si trovano tutti nei reparti tecnici.

Ottima infatti la direzione estetica e il tono fotografico di Paolo Carnera, tensivo e dinamico il montaggio di Francesco Di Stefano, suggestive le scenografie di Andrea Castorina come i costumi di Susanna Mastroianni e infine perfettamente adatte le musiche curate da Fabio Amurri. Oltre a questo c’è da elogiare la romanità che straborda ovunque rendendo questo film muscolare e molto orientaleggiante, totalmente nostrano.

Sbarcato in tutti i cinema italiani il 13 marzo, La città proibita sceglie quindi una strada non ottimale per esporsi, ostinandosi ad allungare il brodo su binari paralleli e poco utili. Dove invece convince è nel suo impianto action con una protagonista abilissima nelle arti marziali e sequenze di combattimento al livello delle major hollywoodiane. Purtroppo Mainetti, uno dei volti più interessanti del panorama nostrano, questa volta ha inaspettatamente fatto un passo indietro, firmando un film molto meno memorabile dei precedenti.

By Lorenzo Usai

Contraddistinto da una passione cinefila quasi maniacale, cresciuta in me come una vocazione, cerco ogni giorno che passa di scoprire sempre di più, farmi esperienza, parlare e scrivere di questo magico mondo. Fin da piccolo sono sempre rimasto incantato dal cinema, la sala, l’enorme schermo davanti a me e tutte le storie che mi portano dentro ad infiniti mondi, vivendo esperienze come in prima persona. Insomma i film emozionano, insegnano, confortano, incoraggiano, divertono, sono una potenza reale e concreta, per me non sono un passatempo ma un vero stile di vita.

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