Il primo dicembre del 2018 ci lasciava Ennio Fantastichini, volto conosciuto e amato dal grande pubblico nostrano che ha collaborato, in una carriera lunga oltre trent’anni, con registi quali Gianni Amelio, Ferzan Özpetek e Paolo Virzì, vincendo un David di Donatello per la sua interpretazione nel celebrato Saturno contro (2007).
Lontano lontano, la cui uscita in sala è prevista per il prossimo 20 febbraio, segna la sua conclusiva, postuma, apparizione su grande schermo e lo vede impegnato al fianco di altri noti alfieri del cinema popolare italiano come Giorgio Colangeli e Gianni Di Gregorio, quest’ultimo anche regista e co-sceneggiatore (insieme a Marco Pettenello) del film. Film che si colloca appieno nella realtà contemporanea del nostro Paese e che tenta, nel corso dei suoi novanta minuti di visione, di offrire uno spaccato credibile del mondo di oggi: impresa, come vedremo, riuscita solo parzialmente.
Leggi anche: La Dea Fortuna, la recensione del nuovo film di Ferzan Ozpetek
Lontano Lontano | La trama del film
La storia vede protagonisti tre arzilli settantenni romani, amici da una vita. Attilio, Giorgetto e il cosiddetto Professore amano trascorrere le loro giornate al bar per combattere la noia di un’esistenza ciclica e priva di effettive opportunità di divertimento. Ognuno di loro ha diverse peculiarità: Attilio lavora come restauratore di mobili a domicilio, Giorgetto è il classico pensionato che cerca di sbarcare il lunario e il Professore è un ex maestro di latino ormai vittima della rassegnazione.
Per dare una svolta alla loro spenta quotidianità i tre decidono di informarsi su un possibile trasferimento all’estero, in uno dei tanti “paradisi fiscali” che garantiscono vantaggiose condizioni economiche a chi ha superato una certa età. La loro scelta ricade sulle Azzorre, ma mentre cercano di racimolare il denaro necessario per ricominciare da capo nella meta straniera la situazione che riguarda una persona a loro vicina cambia radicalmente il piano originario.
Lontano Lontano | La recensione
Lontano lontano
ha qualche discreto spunto narrativo ma, come tante altre produzioni del nostro cinema, finisce per essere anch’esso schiavo di difetti endemici che rendono certi titoli appetibili soltanto all’interno dei confini nazionali. Ci troviamo infatti davanti ad un film “popolare”, che si rivolge fin da subito ad un determinato tipo di pubblico di matrice televisiva. Sin dal prologo al bar, per poi continuare con il tabacchino, il parrucchiere, il fruttivendolo e così via, la narrazione ripercorre i luoghi simbolo della gente comune, tentando di lanciare un appiglio empatico al relativo target.
Allo stesso modo Di Gregorio inserisce nella trama un sottotesto, poi determinante ai fini degli eventi, sul moderno dramma dell’immigrazione, con un accenno di retorica (fortunatamente non preponderante) a variare le coordinate base del racconto. L’ora e mezza scorre così senza troppi sussulti, tra un’ironia di facile consumo e dialoghi di stampo dialettale, in una sequela di gag e situazioni che si prendono i giusti tempi e offrono campo libero a cammei d’eccellenza, uno su tutti quello del sempre impeccabile Roberto Herlitzka.
A mancare all’insieme è quell’elemento di effettiva novità e la sola riproposizione di dinamiche abituali al filone, con l’arte dell’arrangiarsi che passa dai gratta e vinci e da altri piccoli espedienti e una malinconia virata su toni dolci-amari, è troppo poco per lasciare effettivamente il segno, con una regia dall’approccio lineare che nega sussulti degni di nota.