Se c’è qualcosa per cui L’uomo sulla strada sarà ricordato nel tempo è per aver finalmente consegnato ad Aurora Giovinazzo un personaggio da costruire autonomamente, su cui lavorare in maniera personale e sulle cui spalle si regge quasi interamente il peso del film (in questo caso, la metafora è quasi letterale). Irene è una giovane donna consumata dall’impossibilità di dare un volto all’uomo che dieci anni prima ha investito e ucciso suo padre. Michele (Lorenzo Richelmy) è invece un industriale schivo, in cerca di redenzione da una colpa mai confessata. Quando si incontrano, da posizioni di potere completamente opposte, trovano insperato sollievo l’uno nell’altra.
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Il film di Gianluca Mangiasciutti è un thriller senza mistero, poco interessato a tenere nascoste le proprie carte o ad alimentare l’ambiguità sul colpo di scena già ampiamente previsto, anticipato, suggerito. Sgomberato il campo dall’enigma, tutto ruota attorno ai traumi personali dei protagonisti e alla loro relazione scivolosa. Quindi, inevitabilmente, attorno alle performance dei due attori che quella relazione la mettono in scena.
L’uomo sulla strada | un thriller senza mistero
Il soggetto, vincitore del Premio Solinas, è affidato all’esordiente Mangiasciutti, già assistente alla regia di film (anche internazionali, come Mission: Impossible III), serie tv e autore di corti quali Dove l’acqua con l’altra acqua si confonde, A Girl Like You e Je ne veux pas mourir co-diretti con Massimo Loi. Il passato e il presente si incrociano fin da un incipit che sa già di salto in avanti, di premonizione di qualcosa che tornerà a perseguitare la protagonista. La regia efficacemente sottolinea l’andamento inesorabile della narrazione, esalta la fatalità di ogni accadimento, lo scorrere di due destini che sembrano fin da subito destinati a re-incontrarsi.
Aurora Giovinazzo spicca come l’elemento di imprevedibilità, come l’ostacolo posto sui binari di un racconto che non prevede deviazioni e che fin dal suo titolo rimanda ad una “resa dei conti”, ad un momento in cui tutti saranno posti davanti a una verità difficile da accettare. La giovane attrice romana sfrutta benissimo il suo viso e il suo corpo per suggerire una grazia e una dolcezza che potrebbero in qualsiasi momento tramutarsi in scontrosa aggressività. È lei il fulcro di un film che dentro la sua performance trova sempre la spinta per andare avanti, la giustificazione per potersi definire effettivamente dramma psicologico e scrollarsi di dosso il vestito male indossato del thriller.