Dopo il successo de Le nostre battaglie, il regista Guillaume Senez torna a dirigere Romain Duris in Ritrovarsi a Tokyo, affrontando ancora una volta i temi a lui più cari.
Il belga Guillaume Senez, dopo gli ottimi Keeper e Le nostre battaglie, torna al cinema ritrovando l’attore protagonista del suo precedente film: Romain Duris, stavolta nel ruolo di un padre francese trasferitosi in Giappone e ossessionato dalla possibilità, girovagando per Tokyo con il suo taxi, di poter rivedere finalmente la figlia che era stata allontanata da lui nove anni prima, dopo la separazione dalla moglie.
In Giappone, infatti, i tribunali non riconoscono né l’affidamento congiunto né il diritto di visita: è solo uno dei due genitori ad avere la meglio, tenendo lontano l’altro fino a quando il bambino non ha raggiunto la maggiore età.
È questo il contesto politico-sociale del film, ma Senez non sembra davvero interessato a raccontare le storture e le contraddizioni di una cultura diversa dalla sua, in una chiave di realismo o di film-inchiesta, ma utilizza questa strana legislazione giapponese come uno “stress test” del suo cinema per parlare ancora una volta – dopo i due precedenti lungometraggi, accomunati dal medesimo tema – di paternità e del legame complicato con i propri figli.
Ritrovarsi a Tokyo, la recensione del film
Come ne Le nostre battaglie, dove erano vari personaggi femminili ad aiutare il protagonista nell’adattarsi alla sua nuova “normalità”, ovvero quella senza più sua moglie in famiglia, anche in questo caso è l’incontro con una donna, Jessica (Judith Chemla), a svegliarlo progressivamente dall’intorpidimento nel quale era caduto.
Come se fosse una sorta di specchio rovesciato del padre che era un tempo, questa giovane madre francese, con cui condivide un destino molto simile (e anche il tema della collettivizzazione delle “batailles”, appunto, è tema fondamentale nella filmografia di Senez), entra nella vita di Jay e la stravolge.

Se l’uomo pensava di essersi lasciato alle spalle la sua ossessione, rassegnato nel mettere a tacere la propria frustrazione, viene improvvisamente travolto dalla rabbia di Jessica e dalla sua determinazione nel non lasciare che le ingiustizie restino impunite.
Nonostante i protagonisti delle sue storie siano uomini o giovani uomini, alle prese con la famiglia da una prospettiva tutta maschile, Senez non rinuncia a caratterizzare in maniera approfondita tutti gli altri personaggi del racconto, spesso determinanti nel convincere il maschio al centro della storia nel fare (o non fare) qualcosa.
È infatti un cinema giovane e femminile quello del cineasta belga, dove anche stavolta emerge benissimo la figura di una adolescente, la figlia di Jay, sicura di sé e ferma nelle sue posizioni, che prende in mano il suo futuro senza stare troppo a sentire ciò che le viene detto “dall’alto”. Un volto strepitoso, quello di Mei Cirne-Masuki, duro e dolce allo stesso tempo, carico di mistero, da cui affiorano tutti i sentimenti repressi di questa giovane “meticcia”, i suoi non detti, in uno sforzo attoriale di grandissima maturità, tutto giocato in sottrazione.
Stavolta la ragazza non si ribella semplicemente all’autorità genitoriale, ma persino alla legislazione nazionale (che pare verrà modificata nel prossimo futuro), imparando fin da subito come i concetti di legge e giustizia non siano sempre coincidenti (bellissima, in tal senso, la scena di un “innocente” furto che rimarrà taciuto).

Una grande prova di Romain Duris
Nel precedente film di Senez si raccontava di come l’alienazione di un lavoro sempre più automatizzato (in quel caso la gestione della logistica per un’azienda di e-commerce) influenzasse anche il resto della propria quotidianità, di come si rimanesse “operai”, “impiegati” anche fuori dal luogo di lavoro.
Ed era proprio contro questa stanca routine che lottava la messa in scena, che invece si concedeva la possibilità dell’improvvisazione, il gusto di indugiare in momenti anche inessenziali alla “trama”. Così, anche in Ritrovarsi a Tokyo, seguiamo un personaggio che attraversa un film che sembra contenerne due diversi: la commedia e il melodramma.
Uno caratterizzato da una rappresentazione della città di Tokyo come luogo dell’immaginazione, della fantasia, ripresa con un fascino sensuale. L’altro invece più calato nella realtà delle leggi e dei luoghi. Anche in questo caso Duris improvvisa (in giapponese!), sceglie spesso di “deviare” dalle strade consigliate, e tutto il film lotta contro gli elementi che vorrebbero ancorarlo ai dati di fatto.
Come se ci fosse un’alternativa anche cinematografica nel modo in cui si raccontano queste storie, in cui i sentimenti contano più dell’analisi razionale. Trasferendosi in un contesto straniero, lo stesso Senez diventa un “gaijin” (外人), ovvero una “persona esterna” al Giappone, e il film forse anche per questo risente di qualche semplificazione, di quella impossibilità a capire fino in fondo un mondo che non sentiamo davvero nostro.