The Electric State è il nuovo, gigantesco, film dei fratelli Russo, con uno dei budget più alti della storia del cinema. Ma siamo sicuri che l’investimento fatto da Netflix abbia portato ai risultati sperati?
Prima della questione cinematografica, c’è una questione produttiva che va affrontata necessariamente in sede di recensione di un film come The Electric State. Si tratta, con i suoi 320 milioni di budget, di uno dei film più costosi della storia del cinema. Nello specifico, del 13esimo film più costoso mai realizzato.
Questo non è necessariamente una sorpresa, dal momento che i fratelli Russo sono abituati da anni a lavorare con queste cifre (due dei loro altri film, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, sono anch’essi nella top 15 dei film più costosi mai realizzati), ma in questo caso ci sono almeno due fattori che differenziano The Electric State dagli altri film in quella classifica. Si tratta infatti di un film che non appartiene già a un franchise esistente – pur essendo la trasposizione di un libro illustrato molto noto di Simon Stålenhag – e che salta direttamente l’uscita in sala per approdare su Netflix.
Può sembrare un’osservazione banale, ma non lo è. Con gli stessi soldi, Netflix avrebbe potuto dare il via libera a dieci film con un budget di 32 milioni di dollari l’uno (o a 32 film con un budget di 10 milioni di dollari, se la si vuole mettere in questo modo). E vale anche la pena sottolineare che la maggior parte dei film che hanno avuto successo agli Oscar 2025, come Anora e The Brutalist, sono stati realizzati con un budget di $ 10 milioni o meno e, indubbiamente, rimarranno nella memoria degli spettatori più a lungo di questo The Electric State.

The Electric State: soldi ben spesi?
Veniamo al dunque, quindi. Osservando (dal divano di casa) questa turbolenta epopea fantascientifica, si finisce inevitabilmente per chiedersi dove siano finiti quei fratelli Russo che tanto avevano dosato bene azione e umorismo nei loro film migliori. E non è la prima volta che ci si pone questa domanda: ci si era chiesti la stessa cosa anche dopo l’uscita del loro inerte e impietrito thriller The Gray Man, sempre per Netflix. Come hanno fatto questi registi una volta così brillanti a trovarsi impantanati in una tale ingombrante mancanza di umorismo? Eppure The Electric State, per sua natura, imporrebbe giocosità, dinamismo, un po’ di slancio e fascino, richiamando proprio quell’esperienza comica di Joe e Anthony Russo di vent’anni fa.
Lo spunto di trama, infatti, farebbe pensare proprio a una fantascienza satirica, ironica. Robot dotati di intelligenza artificiale, utilizzati come animatronic nei parchi divertimento, come mascotte pubblicitarie di marchi di junk food, colorati, dai tratti infantili, con mani guantate grandi come quelle di Topolino, un giorno prendono coscienza di sé e si ribellano.
Da questa premessa strampalata quanto interessante il film fa di tutto per spazzare via pure le buone idee che c’erano nell’opera originale di Simon Stålenhag, uno dei maggiori illustratori di fantascienza contemporanei, capace di sintetizzare una idea di futuro in immagini poetiche ed evocative. Non a caso, solo dalle sue illustrazioni (e da un minimo di contesto), era stata tratta una serie fantastica qualche anno fa come Tales From the Loop.
Dove sono finiti i fratelli Russo?
I fratelli Russo, messi nuovamente davanti alla necessità di avere a che fare con personaggi da scrivere e non con supereroi già noti, dalla personalità già cristallizzata, falliscono un’altra volta, senza neanche cercare di colmare le carenze narrative con una regia inventiva, capace di creare momenti iconici e memorabili.
Per una strana legge del contrappasso, il film esce quasi in contemporanea con Mickey 17 di Bong Joon-ho, che sembra proprio denunciare questo stallo della macchina hollywoodiana di creare opere di fantascienza davvero originali, come accadeva un tempo, e invece impantanata nella continua reiterazione degli stessi modelli, uguali gli uni agli altri.
Ecco, Mickey 17 racconta tutto questo e molto altro ancora giocando con lo spettatore e con una buona dose di autoironia. Tutto quel che manca invece a The Electric State.