Presentato in anteprima oggi 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma 2024, Fino alla fine, l’ultimo lavoro di Gabriele Muccino, si è raccontato oltre che in conferenza stampa anche con una mini-press riservata.
Questa nuova giornata festivaliera si tinge di tinte Mucciniane grazie alla presenza, nella sezione Grand Public, del nuovo lungometraggio firmato dal regista dell’Ultimo bacio. Ed è proprio da quest’ultimo che si parte per elaborare una riflessione stratificata, che Muccino imbastisce con un piccolo gruppo di giornalisti durante una mini-press romana.
L’incontro parte subito a mille con una pioggia di complimenti da parte di chi la mattina ha già assaporato il film. Non fa nemmeno in tempo a prendere posto sullo sgabello dunque, che con estrema educazione e compiacimento il regista ringrazia per l’entusiasmo.
La conversazione inizia poi, come dicevamo, con un riferimento al suo film del 2001 che lo stesso Muccino usa, per confermare che il suo cinema non è propriamente cambiato in quanto anche quello in un certo senso poteva definirsi thriller.
L’ansia che non ti molla mai
Prima di arrivare a riflettere nello specifico sul nuovo film però, Muccino parte da lontano, da quei sogni e quelle ansie di un ragazzino che ancora oggi non lo mollano.
“La mia vita professionale è stata particolarmente ricca” dice, “anteprime in tutto il mondo, successi, ma alla fine per ogni film che fai torni al punto di partenza. Ansia da prestazione, paura che la gente non vada al cinema, il peso del giudizio degli altri. Mi atterrisce come faceva quando avevo 16 anni. Ogni volta mi chiedo perché ho deciso di fare questo nella vita, perché ho scelto di farmi giudicare se è esattamente quello da cui scappavo una volta”.
Continua poi: “ho fatto cinema per comunicare con gli altri quello che avevo dentro, i film mi hanno salvato la vita. Sono speculare a molti film che ho fatto. Io sono i film che ho fatto, sono tutti i personaggi che ho fatto a 360°”.
Le donne sono molto più interessanti
Entrando poi nello specifico di Fino alla fine ammette in tutta onestà: “sono sereno del fatto che il film sia un buon film. L’avrò visto 250 volte e funzionava sempre, oggi però è la prima vera anteprima con un pubblico davvero ampio e pagante, che fa la differenza”.
Proseguendo sulla trama e incalzato da alcune domande in questo senso, dice: “ho sfidato i personaggi ad andare oltre alle leggi del buonsenso, l’animo umano è stato costruito per millenni sulle atrocità, ma le circostanze ci trasformano in una cosa o nell’altra. Questo film inizia come un mio classico film poi però un twist ribalta la situazione totalmente”.
Essendo chiaramente più un thriller/action rispetto ai molti titoli sentimentali del passato, ci tiene a spiegare il motore della stratificazione che l’ha spinto ad andare in questa direzione.
“Era da tempo che volevo fare un film su una donna. La donna è una creatura molto misteriosa, criptica agli occhi di un uomo. Avere una figlia femmina di certo mi ha incoraggiato” e aggiunge: “la protagonista è pronta a morire pur di vivere fino in fondo, c’è qualcosa di autolesionista, un’attrazione verso l’oscuro, l’ignoto. Trovo le donne molto più interessanti, non ci sono tanti film che raccontano le donne nel giusto modo.”
Inoltre il suo desiderio da regista lo spingeva anche verso un altro particolare elemento, la morte. “Era tanto che volevo fare un film con un morto, ma non ci riuscivo, avevo un blocco, ma poi quando la serie A casa tutti bene mi ha portato in quei luoghi, ho capito che potevo farlo”.
Un primato mondiale voluto dallo stesso Muccino
Fino alla fine
, che da soggetto base si poggia soprattutto sul concetto delle scelte e quindi ruota attorno al tema della vita come risultato delle scelte che facciamo, è già diventato anche un primato nella storia del cinema, proprio per una scelta che Gabriele Muccino ha preso e che nessuno voleva appoggiare.
“L’ho girato contemporaneamente in due versioni, italiano e inglese. Mi sono documentato ed è la prima volta nella storia che si fa una cose del genere. Sono uno che economizza moltissimo sui punti macchina, molte volte faccio piani sequenza e quella è già la scena finita. Finisco sempre nei tempi giusti, a volte addirittura in anticipo, proprio per questo”.
Addentrandosi poi nella motivazione, ha raccontato che l’attrice protagonista, Elena Kampouris, è americana e il suo provino è stato fatto a Los Angeles in quanto inizialmente il film doveva essere in lingua inglese. A un mese e mezzo dall’inizio delle riprese però, gli viene un’illuminazione partorita dopo aver sentito Elena parlare perfettamente cinese e aver facilità anche con altre lingue.
La chiama e le chiede di imparare l’italiano perché vuole girare il film in entrambe le versioni. Sia lei che gli attori, ma soprattutto la produzione, gli danno del folle, nessuno lo appoggia, ma lui è convinto. Il motivo più pressante come dice lui è che “il doppiaggio avrebbe tolto tutto il confronto culturale”. Ed ecco quindi che ogni scena sul set verrà girata prima in una lingua poi nell’altra. “Ho due file separati e quando li guardo, fatico io a trovare le differenze.”
Un cinema in evoluzione
Mentre la mini-press si avvia alla conclusione, tra gente che scrive e altri che filmano, c’è tempo per un’ultima domanda che Muccino coglie al balzo per esplorare una sua chiara intenzione futura.
“Le piccole scelte possono condizionare come un effetto domino tutto ciò che verrà dopo, come i binari del treno che attraverso una minima vibrazione cambiano completamente la rotta. Nella mia vita mi sono pentito spesso, dire no è difficile e a volte per non dire no vai dietro a un flusso pur sapendo che stai facendo cose sbagliate. Fino alla fine è un invito a vivere senza rimorsi, a esplorare il nuovo e a sfidare il passato.”
“Ho scritto già un altro film che è dalle parti del thriller e ne sto scrivendo anche un altro sempre simile. Giocare con le disfunzioni e portarle a un limite estremo mi affascina, continuerò a farlo”.
In uscita il 31 ottobre, Fino alla fine segna il tredicesimo film del regista e racconta di Sophie, una ragazza americana indomabile che dopo tante privazioni, ambizioni e sogni infranti, decide di vivere fino in fondo. Un mix di generi e tematiche che s’intrecciano per esplorare il ruolo del destino e delle scelte che facciamo, tutto in ventiquattro ore complessive.