Il documentario del croato Srdan Kovačević, con un approccio simile a quello di Frederick Wiseman, in grado di parlare di organismi collettivi guardando alle singole persone che li compongono, racconta la storia della ITAS, rilevata dai suoi lavoratori nel 2005 dopo un tentativo di privatizzazione: l’unico esempio riuscito di amministrazione diretta degli operai in una fabbrica dell’Europa post-socialista. Dieci anni dopo la svolta rivoluzionaria, l’impiegato ribelle a cui si deve l’occupazione e l’appropriazione dei mezzi di produzione si ritrova costretto ad adoperarsi in prima persona per impedire nuovamente un arresto delle attività che provocherebbe la definitiva chiusura dello stabilimento.
Kovačević ha trascorso cinque anni osservando gli operai al lavoro e alle prese con i loro problemi (burocratici, finanziari, ingegneristici), cercando di capire quanto l’acquisizione della fabbrica sia solo un sogno utopico, un atto simbolico, e quanto un progetto in grado di poter esistere e competere sul mercato. Il documentario è prodotto dalla società di produzione indipendente croata Fade In.
Factory to the Workers | tra le linee di produzione della ITAS
Emblematicamente il film si apre con una inquadratura del ritratto dell’ex presidente jugoslavo Tito, appeso al muro della fabbrica. Ripudiato come residuo di un passato comunista nel nuovo stato della Croazia, ma ancora un modello per la sinistra nostalgica e per gli attivisti sindacali. Kovačević ci immerge direttamente nel tumultuoso presente della ITAS, ora guidata dal direttore esecutivo Božo Dragoslavić e con il grande fumatore Varga ancora leader riconosciuto dei lavoratori.
La situazione sembra disastrosa per la fabbrica, i cui principali clienti sono adesso le grandi aziende tedesche e russe: gli stipendi arrivano in ritardo, spesso ridotti, e i lavoratori, soprattutto i più giovani, sono ormai poco interessati all’acquisto delle quote societarie e invece disposti a lasciare la fabbrica nel caso di posizioni lavorative migliori disponibili altrove. L’ultimo macchinario è stato acquistato dieci anni fa, i prestiti e i debiti si accumulano e l’insofferenza nei confronti di Dragoslavić aumenta. È chiaro fin da subito che quello che sarebbe dovuto essere nelle intenzioni del regista un elogio di un sistema industriale antitetico a quello capitalistico, non può che essere un film che ne constata la totale impossibilità di sopravvivenza all’interno di un modello economico che non ammette alternative ad esso.
I due protagonisti del racconto
A differenza di quanto avverrebbe in un documentario di Wiseman, il film di Kovačević sceglie immediatamente quali debbano essere i due personaggi principali del racconto, quelli da seguire costantemente e a cui dedicare maggiore tempo su schermo. Dragoslavić e Varga sono sempre nervosi, il primo sempre più amareggiato e sulla difensiva alla vigilia del voto di fiducia del consiglio che potrebbe costargli il posto e il secondo sfinito da una lotta con le unghie e con i denti per non essere sconfitto nella guerra che ha ingaggiato quasi vent’anni prima.
Factory to the Workers non offre risposte semplici e prende atto di ciò che osserva: un progetto nato per “sabotare dall’interno” il sistema capitalistico che è stato automaticamente e inevitabilmente reso marginale. La fabbrica del film lavora alla periferia del proprio settore industriale di riferimento, superflua sul mercato e assolutamente innocua rispetto al nemico che avrebbe dovuto aggredire. Kovačević riesce a rendere la sua narrazione estremamente intrigante, mostrandoci tutti i punti di vista tra i lavoratori e rinunciando ad un giudizio definitivo sull’esperienza raccontata nel documentario.