Senza lasciare traccia, la recensione del film di Debra Granik a otto anni dal suo “gelido inverno”

Dopo otto anni da quel “gelido inverno” nel Missouri, Debra Granik torna sul grande schermo ancora una volta per narrare vicende che coinvolgono personaggi ai margini della vita. Senza lasciare traccia si svolge nel parco nazionale dell’Oregon dove un padre e una figlia vivono isolati dal mondo e in totale clandestinità: una marginalizzazione questa volta che è contemporaneamente autoimposta (il padre è un veterano di guerra traumatizzato che si è ritirato volontariamente dal mondo) ed imposta (sulla figlia Tom, diafana e costretta a vivere nell’ordine sociale che il padre ha costruito per sé ma che mal si adatta alle esigenze della giovane ragazza). A differenza di altri film similari, almeno nelle promesse anche se non nel tono, come ad esempio il Captain Fantastic di Matt Ross, la Granik non ci mostra questa esistenza alternativa come qualcosa di idilliaco in cui sperare, ma per l’effettiva condizione di disagio che è, specialmente se a farne le spese c’è una persona che per nessuna ragione dovrebbe vivere in quel modo. 

Così quando i servizi sociali scoprono la vicenda, intervenendo per assicurarsi che la piccola (come la chiama il padre) possa avere una casa dignitosa, una scuola e una “vita normale” (senza che questo termine implichi nulla di sbagliato o di triste), la piccola protagonista scoprirà un mondo che le piace e nel quale vorrebbe vivere. In quel momento si manifesterà la grande maturità e consapevolezza del film, quando Tom non proverà alcun rancore verso il padre (pur avendone il diritto) ma ne capirà la difficoltà e propenderà per la decisione più difficile e complessa da prendere: quella di scegliere l’indipendenza dal proprio genitore. 

Senza lasciare traccia: generazioni inconciliabili

Debra Granik sposta progressivamente il suo sguardo dalla vicenda personale, quella di un padre e la sua bambina, a quella generazionale, per la quale vi è un costante attrito fra genitori e figli così diversi da non poter vivere nello stesso mondo e nella stessa realtà (“The same thing that’s wrong with you isn’t wrong with me”, dirà ad un certo punto Tom a suo padre). Se in Un gelido inverno, l’adolescente interpretata da Jennifer Lawrence faceva di tutto per ricongiungersi al genitore che l’aveva abbandonata, adesso la giovane Thomasin McKenzie deve decidere se “staccarsi” da quel padre con il quale ha vissuto sempre in simbiosi, in un rapporto strettissimo reso possibile da un legame famigliare che il film descrive con eguale dolcezza ed apprensione. 

La regista rinuncia alla divisione binaria, ma invece fonda il suo film sulla collettività: quella fra gruppi di persone che possono vivere (e sopravvivere) solo se capaci di stare insieme e quella più totalizzante dello Stato, il quale non si inserisce nel film per spezzare il sogno utopico di un padre che vorrebbe vivere nella natura (ma è davvero così?) o per imporre una visione univoca, ma per proporre soluzioni adeguate alle esigenze della figlia.

Senza lasciare traccia: un coming-of-age atipico

I due personaggi di Senza lasciare traccia sono immersi nel loro presente, perché non hanno un passato (che cercano faticosamente di dimenticare, come fa il padre) o perché condannati a non avere un futuro (come la piccola, a cui è stato insegnato a vivere in un ordine sociale che non esiste davvero e che morirà con chi lo ha creato). Quello descritto dalla Granik è un mondo allo stesso ingiusto ed accogliente (tutti gli sconosciuti che i due incontreranno sul loro irregolare cammino saranno gentili con loro e disposti ad aiutarli) e il suo film è un atipico coming-of-age in cui la “crescita” della protagonista non avviene gradualmente ma improvvisamente, quando è chiamata a scegliere fra la vita che ha sempre conosciuto e una nuova, piena di incognite ma subito in grado di promettere tanto. 

Eppure Tom, grazie anche all’incredibile prova della giovane attrice che la interpreta, saprà maturare la decisione migliore (e più dolorosa) in una maniera che apparirà immediatamente come la più naturale e ponderata.

Senza lasciare traccia, la recensione del film di Debra Granik a otto anni dal suo “gelido inverno”
4 Punteggio
Pro
Complesso e maturo, regia asciutta, Thomasin McKenzie è bravissima
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

 

Senza lasciare traccia – TRAILER