Maniac, la recensione del pilot: cosa aspettarsi dalla nuova serie Netflix ?

Ricondurre ad un modello scientifico le nostre esperienze quotidiane, quelle che ogni giorno infittiscono la rete di incontri e conoscenze di cui si compone la vita di ognuno di noi. Sembra essere questo uno degli obiettivi (fra i tanti) della nuova ambiziosa serie Netflix firmata da Cary Fukunaga. Maniac infatti comincia come la parodia di un film di Malick, nella sua volontà di ricondurre a qualcosa di estremamente grande (la nascita della vita umana) qualcosa invece di estremamente piccolo ed insignificante (la vita del singolo). Così la serie con Emma Stone e Jonah Hill sembra ispirarsi alle sceneggiature di Kaufman (pur cercando di renderle più lineari e meno convolute) senza volerle mettere in scena con lo sguardo tipico di un Michel Gondry, tenero solo superficialmente ma in grado di mostrare quando serve le sue spigolosità, ma scegliendo invece di andare a parare dalle parti di Brazil, con una fantascienza al limite del grottesco e della satira sociale. Evitando qualsiasi tipo di spoiler, la trama di Maniac potrebbe riassumersi così: una storia d’amore (forse) non convenzionale che si svolge tra diverse realtà parallele, tecnologicamente o lisergicamente intese.

Il materiale di partenza, cerebrale ed allucinato, sembra essere ottimo per un film e meno invece per una serie televisiva che ha l’aspirazione di proseguire anche dopo la prima stagione. Perciò furbamente Fukunaga sceglie di adattare la sua storia al modello della miniserie, cercando di sfruttare quelle che sono le possibilità uniche offerte dal mezzo seriale ed allo stesso tempo evitare un inevitabile effetto di “stanchezza” al quale invece condurrebbe l’utilizzo di una narrazione così densa per un numero di episodi maggiore del dovuto.

emma stone

Maniac: una serie dal forte impatto visivo

Per forza di cose Maniac è una serie che si basa molto sulle idee visive che utilizza nel rendere su schermo i cambiamenti dell’ambiente in costante mutazione nel quale i personaggi si muovono (cambiando anch’essi mise ed acconciature) e che riflettono le diverse declinazioni della fragilità che man mano i protagonisti rivelano allo spettatore come a loro stessi. Perciò Cary Fukunaga si trova nel difficile compito di creare un (multi)universo che sia non solo interessante dal punto di vista visivo, ma anche in grado di emanciparsi dai tanti riferimenti stilistici a cui (forse inevitabilmente) si pensa quando si tratta di inscenare storie di questo tipo.

Per restituire allo spettatore una sola emozione, quella del sentirsi costantemente inadeguati, riuscendo a tradurla in maniera sempre diversa nel corso di dieci episodi, è necessario un gruppo di interpreti in grado di svolgere un lavoro tutt’altro che banale. Così accanto alle due star dello show, troviamo un cast in cui figurano attori di prim’ordine del panorama televisivo e cinematografico: non solo l’affascinante Julia Garner o il buffo Justin Theroux, ma anche la carismatica Sonoya Mizuno, Sally Field alle prese con un doppio ruolo ed infine gli inossidabili Rome Kanda e Gabriel Byrne (protagonisti di alcuni dei momenti più sanguinosi della serie, come a voler rendere omaggio ai ruoli che li hanno resi famosi, il primo con Takeshi Kitano ed il secondo coi fratelli Coen).

Maniac: cosa aspettarsi ?

Il primo episodio della nuova serie Netflix lascia sicuramente curiosi di scoprire cosa il nuovo lavoro di Fukunaga (solo tratto da una miniserie norvegese, di cui però sconvolge gran parte della trama) potrà riservare nelle prossime puntate. La sfida sicuramente più difficile che Maniac si trova ad affrontare è quella di rendere funzionale la narrazione episodica ad una struttura narrativa aggrovigliata e labirintica che spesso invece riesce ad essere efficace quando imbrigliata in una racconto meno esteso e più contenuto. Eppure potrebbe essere proprio questa la cosa più interessante della serie: la sua capacità di ricondurre ad un modello scientifico non solo le vicende dei personaggi, ma anche il modo in cui si decide di narrarle e di proporle allo spettatore. 

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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