Un grande classico di fine millennio ha fatto la sua comparsa nel catalogo Netflix. Stiamo parlando de Il collezionista, film scritto e diretto nel 1997 da Gary Fleder e adattamento dell’omonimo romanzo di James Patterson. Un poliziesco senza fronzoli che ha sfruttato al meglio la fonte di partenza e portato per la prima volta sul grande schermo il popolare personaggio di Alex Cross, qui interpretato come nel successivo Nella morsa del ragno (2001) da Morgan Freeman. La pellicola ha ottenuto un incasso di oltre 60 milioni di dollari nei cinema di tutto il mondo e si è guadagnata lo status di cult: analizziamo insieme cinque motivi per i quali vale la pena rivederlo ora che è giunto sulla piattaforma di streaming.
Il collezionista | Una trama accattivante
I libri di Patterson hanno venduto milioni di copie e Alex Cross è una figura carismatica e ricca di sfumature. Il collezionista è in realtà il secondo volume della saga, ma poco importa ai fini della trasposizione in quanto il protagonista è introdotto con rapide ma incisive pennellate. La vicenda del film coinvolge il Nostro, psicologo della polizia e criminologo, dal punto di vista personale poiché sua nipote è scomparsa e si scopre ben presto che la sparizione è legata ad una serie di rapimenti di giovani donne, da parte di uno psicopatico che si fa chiamare Casanova. Mentre le indagini delle forze dell’ordine brancolano nel buio, la fuga di una delle ragazze rapite – la bella e tenace dottoressa Kate McTiernan – permette di avere un quadro più preciso sulle mosse e la potenziale identità del serial killer, dando il via ad una corsa contro il tempo per salvare le altrimenti future vittime.
Il collezionista | Una tensione costante
Il regista è abile nella gestione della suspense e nello schivare i tempi morti, trovando sempre il modo di far evolvere la storia in maniera organica e precisa. La suspense domina la pressoché totalità delle due ore di visione, fino ad un epilogo dove il principale – e non del tutto imprevisto – colpo di scena fa salire ulteriormente l’asticella tensiva. Dalle fughe a rotta di collo nella foresta alle sequenze ambientate nel rifugio del villain fino a sussulti da home invasion, Il collezionista pone giusto peso alle psicologie delle ragazze rapite e dei protagonisti, trovando la perfetta chiave di volta per mantenere sempre alto l’interesse del grande pubblico.
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Il collezionista | Il cast
Morgan Freeman
è l’incarnazione perfetta per l’iconico personaggio e si appoggia ad un’altra interpretazione cult – in un ruolo similare – operata dallo stesso attore solo due anni prima nel capolavoro di David Fincher Seven (1995). Veicolo empatico per lo spettatore di sesso maschile mentre la controparte femminile è affidata ad un altrettanto convincente Ashley Judd, pronta a tutto pur di consegnare il colpevole alla giustizia. Il resto del cast è più accessorio ma alcune figure secondarie, come il detective di Cary Elwes, sono più che necessarie allo sguardo d’insieme generale, dando vita ad un tessuto narrativo credibile.
Il collezionista | Lo scavo psicologico
Dialoghi e battute, così come la caratterizzazione dei protagonisti, si rivelano elemento di peso nelle fasi cruciali del racconto, da indizi che vengono a galla tramite l’esposizione verbale di particolari dettagli o – come già nel prologo – nel trasformare le parole in una sorta di voce di conforto per evitare tragiche conseguenze. Allo stesso modo le dinamiche nella resa della “rete oscura” che circonda il fato delle ragazze rapite presenta un affilato sfondo psicologico nei lati più nascosti e perversi dell’animo umano, ennesimo tassello che rende l’intero racconto drammaticamente verosimile.
Il collezionista | Il rapporto tra i sessi
Ben prima dell’era #MeToo – e forse non è un caso che proprio Ashley Judd sia stata tra le prime accusatrici di Harvey Weinstein – viene esplorato un rapporto di dominazione da parte dell’universo maschile nei confronti delle donne, viste come facili prede da sfruttare a proprio piacimento. Questo non solo nello spietato villain Casanova, ma anche nelle dichiarazioni del chirurgo plastico William Rudolph si evince un senso di superiorità che è poi alla base delle dinamiche base della storia. Un merito da condividere, come gli altri del resto, con la profondità dell’opera originaria ma senza nulla togliere ad un lavoro di adattamento certosino e calibrato che ha reso Il collezionista un solido esempio di poliziesco moderno da cui prendere spunto.