I film di Roberto Benigni da vedere almeno una volta nella vita

Una scena da Johnny Stecchino (fonte: Netflix) - NewsCinema.it
Una scena da Johnny Stecchino (fonte: Netflix) - NewsCinema.it

Roberto Benigni torna questa sera in tv con lo show Il Sogno. Per l’occasione, ripercorriamo la sua carriera cinematografica attraverso cinque film da vedere almeno una volta nella vita.

Quella di Roberto Benigni è stata una delle indimenticabili icone nel cinema d’autore dalla fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80, grazie a una presenza unica, strana e fuori dalla norma. Corpo e fisico non ordinari e un nervosismo che si percepisce anche quando non fa nulla che la macchina da presa naturalmente adora.

Con il tempo e con l’esperienza, Benigni ha guadagnato un’espressività nei movimenti del corpo e nella capacità di recitare anche senza parole che sono eccezionali, confermandosi una maschera comica con delle potenzialità drammatiche eccellenti.

Questa sera, alle ore 21.30, il premio Oscar torna in prima serata su Rai1 con un nuovo spettacolo dal titolo Il Sogno, a dieci anni di distanza dal successo de I dieci comandamenti. Per l’occasione ripercorriamo la sua carriera cinematografica attraverso cinque film imprescindibili.

Berlinguer ti voglio bene (1977)

Mario Cioni è un giovane sottoproletario i cui propositi di rivalsa sono affidati alle speranze di una rivoluzione guidata dal segretario del PCI Enrico Berlinguer. Succube del rapporto edipico con la madre e ossessionato dal sesso, trascorre le sue giornate con gli amici o a spasso per le campagne toscane parlando a vuoto, improvvisando scurrili monologhi e assurdi ragionamenti su Dio, sulla morale e sul sesso. Quando gli amici gli annunciano, per scherzo, la morte della madre, Mario ne rimane sconvolto e trascorre la notte vagando senza meta.

Una scena da Berlinguer ti voglio bene (fonte: La7) - NewsCinema.it
Una scena da Berlinguer ti voglio bene (fonte: La7) – NewsCinema.it

Un film che rompe radicalmente con quello schema che fa capo alla commedia all’italiana e tenta di recuperare radici diverse da quelle piccolo-borghesi di quest’ultima, tornando a un dialetto arcaico e creando un personaggio sottoproletario che era sempre stato escluso da questo genere di cinema.

Daunbailò (1986)

Tre storie che si incrociano all’interno di una cella carceraria e tra le paludi della Louisiana. Tre corpi e tre volti fuori dai canoni come quelli di Tom Waits, che firma anche le musiche, John Lurie e Roberto Benigni raccontano meglio di tante altre cose questa storia appesa tra il sogno e la realtà. It’s a sad and beautiful world quello rappresentato e prediletto da Jim Jarmusch: una inquietante città fantasma di New Orleans che evoca l’apocalisse post-economica di Detroit.

Jarmusch ha il dono miracoloso di trovare sempre un vuoto onirico nelle città che mette in scena, in cui i suoi personaggi e noi, il pubblico, vaghiamo, come in un uno stato di semi-incoscienza, accompagnati spesso da colonne sonore ipnotiche. È il film che ha lanciato Benigni sulla scena internazionale e la sua presenza è fondamentale per conferire alla narrazione quel magico tocco giocoso e surreale.

Non ci resta che piangere (1984)

Del tutto disinteressati alla forma della narrazione canonica, Roberto Benigni e Massimo Troisi si lanciano in una lunga, inarrestabile, improvvisazione, che raggiunge vette di nonsense e sembra quasi volersi liberare dalla costrizione di seguire un pur labilissimo canovaccio. Alcune delle battute del film sono entrate a far parte del linguaggio comune, così come alcune scene ormai appartengono all’immaginario collettivo di una intera nazione.

La trama è stranota: l’insegnante Saverio e il bidello Mario sono fermi a un passaggio a livello nel bel mezzo della campagna toscana. Visto che il treno tarda a passare i due si incamminano per una stradina secondaria, ma l’automobile li lascia in panne e così sono costretti a continuare a piedi e a chiedere assistenza a una locanda. Il risveglio la mattina porterà una sorpresa scioccante: non sono più nel 1984, ma nel 1492…

Una scena da Non ci resta che piangere (fonte: Netflix) - NewsCinema.it
Una scena da Non ci resta che piangere (fonte: Netflix) – NewsCinema.it

La voce della Luna (1990)

Nella “bassa padana” felliniana, Benigni interpreta il mite Ivo Salvini, la cui mente è sempre in bilico tra fantasie e realtà. Crede di sentire delle voci, provenienti dai pozzi della campagna illuminata dalla luna, che lo esortano ad andare lontano per inseguire il suo ideale di donna che assomiglia alla luna tanto amata.

Nel suo vagabondare ha diverse piccole avventure con strani personaggi, tutti in possesso di una certa dose di follia. Il film può essere considerato il testamento cinematografico di Fellini: l’ultima protesta del grande maestro contro un mondo in cui la poesia, il silenzio e perfino la follia sono stati soppressi da una rumorosa volgarità.

Johnny Stecchino (1991)

Enorme successo al botteghino italiano (all’epoca divenne il più grande incasso italiano di tutti i tempi) e definitiva consacrazione di Benigni come attore e regista, Johnny Stecchino, al di fuori del suo aspetto comico ed esilarante, rappresenta ancora una volta una denuncia nei confronti di una società ingiusta, corrotta, perversa, incapace di agire in maniera onesta.

Il film, negli Stati Uniti, fu censurato dalle agenzie che si occupavano di stabilire il cosiddetto rate del film e di indicare, dunque, eventuali contenuti che avrebbero potuto offendere la sensibilità del pubblico. Nello specifico, venne eliminata la scena in cui Dante consegna all’amico Lillo il sacchetto di cocaina, nella speranza di curare il suo diabete.

 

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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