Stasera in tv | Quello che non so di lei, il film “incompreso” di Polanski

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Andrà in onda lunedì 17 agosto alle ore 21.20 sul canale Rai3 il film Quello che non so di lei, thriller diretto da Roman Polanski nel 2017 con protagoniste Eva Green e Emmanuelle Seigner. Considerato da molti un lavoro “minore” del regista polacco (o addirittura un passo falso all’interno della sua filmografia), Quello che non so di lei è il manifesto di un cinema che dice la verità solo attraverso le immagini. 

Stasera in tv | Quello che non so di lei

Polanski compie nel 2017 una operazione molto simile a quella sperimentata da Michael Haneke con il suo Happy End: riprendere ciò che si è già messo in scena per osservarlo con uno sguardo nuovo. Così Quello che non so di lei sceglie solo in apparenza di navigare nelle acque sicure della poetica di “polanskiana” (le relazioni opache, i grandi spazi chiusi nei quali far muovere i personaggi) ma rinuncia invece a tutto ciò che definiremmo “polanskiano” nella sua forma più classica. Nelle pieghe di questo denso e volutamente poco accattivante lavoro di Polanski sembra esserci un “film nascosto” che vorrebbe rivelarsi allo spettatore, proprio come il “libro nascosto” che Emmanuelle Seigner (Delphine) cova da anni e che Eva Green (Elle) spera di rubarle dal cuore. Non a caso, ad assumere un ruolo fondamentale nella genesi dell’opera è Olivier Assayas, erede proprio di quel modo di fare cinema, obliquo ed ambiguo, che ha i suoi modelli originali in Repulsion e Cul-de-sac. Rielaborando il romanzo di Delphine de Vigan per dargli forma consona per il grande schermo, Assayas, proprio come avviene per Elle con Delphine, si mette al servizio del suo amico, aderendo a quelle che erano le sue indicazioni e dipendendo dalle sue esigenze. Ma se Assayas sembra scomparire nel suo lavoro per Polanski, così Polanski sembra dirigere il lavoro di Assayas senza volersi rendere riconoscibile.

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Assayas e Polanski

Se ovviamente il modo in cui persone e luoghi vengono inquadrati non è quello di Assayas, lo sono però alcune delle preoccupazioni che emergono man mano che la vicenda si dipana. Il regista francese prosegue, nei margini di libertà che gli concede il ruolo di “operaio” al servizio di un collega, la sua personale analisi dei legami femminili (come quello che univa le due donne in Clouds of Sils Maria) e delle intricate relazioni personali che passano per mail ed sms, ma le cui complicazioni sono sempre reali, materiali e palesi. Così se in Personal Shopper il cellulare assumeva una carica quasi sensuale quando le mani ne sfioravano lo schermo per comporre un messaggio, nel film di Polanski è un iPhone a conservare la memoria di ciò che poi deve essere messo nero su bianco su un foglio Word.

Rapporti di forza tra immagini e scrittura

Il ribaltamento del cinema di Polanski avviene nel tentativo di negare le immagini per affermare l’egemonia della sceneggiatura sulla sua figurazione visiva (quando invece tutto il restante cinema di Polanski si è basato sul rapporto di forza esattamente invero). Egemonia messa in discussione solo dalle brevissime sequenze (pochi secondi su quasi due ore di film) in cui la mano del regista si rende di nuovo visibile per riconoscere alla rappresentazione un primato sul testo che le era stato fino a quel momento negato. Così una scena marginale ai fini della narrazione, come quella in cui Delphine scende nella buia dispensa della propria villa per disseminare delle trappole per topi, sembra assumere una urgenza che non ha e una centralità che non le è propria solo per il modo in cui viene ripresa. Ed è solo in quei momenti, quando le immagini prendono il sopravvento, che riusciamo davvero a capire il senso ultimo delle cose e la verità che si cela dietro alle migliaia di parole false.

By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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