A distanza di sei anni da Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Leone d’Oro a Venezia, lo svedese Roy Andersson torna nelle sale italiane con il nuovo film Sulla infinitezza, riproponendo il suo cinema fatto di ambientazioni fasulle ricostruite in teatri di posa popolate da veri e propri cadaveri ambulanti, pallidi e apparentemente disperati.
Sulla Infinitezza | il nuovo film di Roy Andersson
Chi conosce il cinema Roy Andersson sa bene che in ogni suo film c’è sempre da aspettarsi il fatidico “momento della caduta”, cioè quella scena in cui uno dei personaggi, per un motivo qualsiasi, finisce inevitabilmente al suolo (in You, the living era l’imprenditore che crollava durante la riunione, in Canzoni del secondo piano l’uomo che inciampava scendendo dal treno, ne Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza quello che stramazzava in sala mensa). Inutile dire che anche nel suo nuovo film ci sarà un signore che verrà scaraventato a terra da alcuni passanti che vorrebbero fermare una rissa.
Quelle di Andersson sono sempre cadute in pubblico, che avvengono davanti a spettatori inermi che fanno pochissimo per aiutare gli altri a rialzarsi (al massimo si limitano a constare il decesso). È un momento imprescindibile nel suo cinema di “precarietà”, in cui i personaggi sembrano inesorabilmente dirigersi con andatura claudicante (nel nuovo film, tra gli altri, anche un prete barcollante a causa del troppo vino, un generale zoppo e una donna che cammina nonostante il tacco spezzato) verso quel momento della loro esistenza che li farà definitivamente cadere.
Un volo precario
Per questo motivo, la coppia volante, che è il vero simbolo di Sulla infinitezza, deve essere guardata con apprensione. I due amanti che, abbracciati, guardano dall’alto una Colonia devastata e irriconoscibile, sorvolano l’apocalisse, ma la loro salvezza non è definitiva. La gravità, prima o poi, potrebbe tornare ad imporre le sue leggi per vendicarsi. Il loro volo è allo stesso tempo rifugio ed insicurezza, un dono concesso da Andersson, ma revocabile in qualsiasi momento.
Il paragone con gli “amanti sulla città” di Chagall non funziona: lì non c’era un volo, bensì una ascensione. La verticalità obbligata permetteva di non porsi un problema di direzione. Andersson estende questa condizione di temporaneità ad una razza umana che si muove verso la propria estinzione, possibile ma non inevitabile, confonde il tempo (passa dalla Seconda Guerra mondiale ad un futuro imprecisato) e lo spazio (dalla Siberia alla Germania), affiancando eventi a cui il suo cinema restituisce pari dignità. La sconfitta del nazismo non è più rilevante dell’errore commesso da un uomo che entra con un mazzo di fiori nel ristorante sbagliato.
Confondere spazio e tempo
Il mezzo filmico mette ogni scena sullo stesso piano, lo sguardo dello spettatore non le osserva diversamente e persino la voce narrante che le introduce non sembra avere alcune intenzione di distinguerle. Nel cinema di Roy Andersson tutti sono già cadaveri, pallidi ed immobili, ma la speranza stavolta è evidente nel colore del viso di chi è ancora in grado di creare una nuova umanità: bambini, ragazze e immigrati (una bambina che vuole andare ad una festa di compleanno anche se piove, ragazze che ballano davanti ai tavolini di un bar, un rifugiato senza gambe che suona ‘O Sole Mio). La “luce senza pietà” (come lo stesso Andersson la definisce) dei suoi film crea un monocromatismo in cui gli elementi di alterità vengono esaltati.