In concorso al Festival nella sezione principale, l’opera prima della trentenne regista berlinese Pola Beck ruota intorno alla figura della giovane Lara (Aylin Tezel). La protagonista, studentessa in architettura per destino familiare, è assorbita da un ambiguo rapporto con la volubile amica Nora (Henrike von Kuick), che tradisce la sua fiducia intrecciando una relazione con Martin (Godehard Giese), professore giovane e seducente. Lara, confusa, resta incinta dopo un fugace incontro con un ragazzo di cui non conosce neppure il nome. Dopo l’iniziale smarrimento, la piccola vita che si affaccia in lei dona improvvisamente un senso alla sua esistenza, trasformando relazioni e abitudini, scavando nei rancori mai sopiti nei confronti della madre e di Nora, costruendo una nuova amicizia con un vicino di casa, l’islandese Elvar (Tòmas Lemarquis). Ma, come all’improvviso era arrivato, altrettanto inaspettatamente Lara perde il bambino, a gravidanza inoltrata. Lo smarrimento, il rifiuto, l’incontenibile dolore di questa esperienza attraversano la ragazza, che trascina se stessa verso un finale che, anche se duro, apre l’animo alla speranza.
La regista, che ha saputo efficacemente trasformare in lungometraggio un soggetto di Burckhardt Winderlich, nato inizialmente per un corto, si muove con mano sicura, sorretta da un’ottima sceneggiatura e un sapiente montaggio, che danno ritmo e pathos alla vicenda, rendendo avvincente un tema difficile: la profondità drammatica del racconto si intreccia, come nella vita reale, con tocchi ironici e leggeri. La Beck racconta con grande sensibilità le emozioni della maternità, dalla gioia incontenibile della vita che cresce, al dilaniante dolore della perdita. Intensi i primi piani sul volto espressivo e mobile della bravissima Aylin Tezel, attorno a cui ruotano con altrettanta efficacia le figure dell’amica Nora, del giovane professore confuso tra le due ragazze, del lunare Elvar che vive con il serpente Magda, e dei ricchi genitori di Lara in crisi coniugale.
Nel contempo, Pola Beck ci offre uno spaccato su ciò che lei stessa definisce come lo Zeitgeist della sua generazione, quello spirito del tempo che accomuna molti ventenni nell’incapacità di dare una direzione definita alle tante opportunità che si aprono dinnanzi a loro. La confusione interiore e la difficoltà a definirsi nel lavoro e nelle relazioni, condizionano l’esistenza di tutti i personaggi, sottolineate da inquadrature che indugiano sugli immensi alveari metropolitani dove vive la protagonista, e negli interni soffocanti della discoteca dove Lara si stordisce. Limpido e penetrante lo sguardo della regista, che si affida, con reciproca fiducia, alle capacità espressive dei suoi bravi attori. La Beck ritaglia inquadrature così pulite nella composizione da restare profondamente impresse negli occhi dello spettatore ( l’intensa scena in cui Lara, che porta ancora in grembo il bimbo morto, si accuccia sul pavimento sopra le sponde del lettino non ancora montato, avvolta nella carta dell’imballaggio come se potesse tornare nel grembo materno; la tenera scena finale, dove gli amici Lara ed Elvar, stesi sul tappeto, si aprono ai loro diversi possibili destini). Efficaci le metafore affidate alle figure di animali, dal piccolo pesce volante che viene lanciato all’improvviso nella vita di Lara, al coniglio salvato dalle fauci del serpente Magda, simbolo finale di una speranza possibile. Se si affacciasse, come ci auguriamo, un distributore italiano, assolutamente da vedere.