Bertrand Bonello torna al cinema con un film tutto mentale, che attraversa generi ed epoche, a metà strada tra Lynch e Cronenberg.
La bestia nella giungla, celebre e inquietante racconto di Henry James, è passato prima dalle mani di Marguerite Duras (che ne ha scritto l’adattamento teatrale, messo poi in scena da Alfredo Arias con Delphine Seyrig e Sami Frey) e poi tra quelle di François Truffaut (che si è in parte ispirato ad esso per La camera verde).
E ancora tra quelle di Leos Carax (per un progetto di adattamento abortito per mancanza di budget) e di Patric Chiha, con il suo recentissimo adattamento cinematografico.
Bertrand Bonello a sua volta riprende il materiale letterario dello scrittore britannico e lo adatta liberamente, almeno per il primo atto del suo film, quello in costume, il più vibrante, nell’eleganza dei salotti parigini al crepuscolo della Belle Epoque, che presto verranno violentemente sostituiti da un’ambigua ambientazione losangelina, con i suoi mostri e le sue immense ville disabitate, da cui le persone osservano il mondo da dietro le loro vetrate. Da quel momento in poi, il film, rispetto al romanzo, diventa una “bestia” completamente differente.
The Beast: il viaggio fantascientifico di Bonello
The Beast è un’ambiziosa antologia di generi, una finzione a più livelli tenuta insieme da un tema comune vecchio come il mondo (e come il cinema): quello dell’amore tra un uomo e una donna. Un sentimento frustrato nel corso dei secoli, ma ugualmente resistente nel passaggio tra le diverse epoche, in cui i protagonisti si reincarnano per riprovare nuovamente e all’infinito la mancanza l’uno (George MacKay) dell’altra (Léa Seydoux).
Un film sulla distopia delle intelligenze artificiali al comando, ma anche, più “semplicemente”, un tortuoso trattato sulla conservazione (e conversazione) del desiderio, la possibilità di trattenerlo e sopprimerlo per l’eternità, lungo una storia fatta di abbracci spesso congelati nel loro slancio, dove si tratta solo di sbagliare per poi lasciarsi travolgere da qualcosa che è sempre più grande, più forte, più urgente. Tutto finisce male, in questo film di Bonello, ma tutto ricomincia inesorabilmente di nuovo, non importa quante volte si fallisca.
L’interpretazione, molto libera, che qui viene fatta del racconto di James conserva solo l’argomento iniziale: la premonizione di una terribile e misteriosa catastrofe a venire, che questa volta opprime la sua eroina mentre il protagonista maschile, un certo Louis, diventa il confidente di questa inquietante convinzione.
Léa Seydoux (pochi ricordano che l’attrice ha recitato nell’adattamento di Christophe Gans de La bella e la bestia dieci anni fa, nel ruolo della giovane donna innamorata del mostro) è la luce che illumina questo palcoscenico fantascientifico, il corpo che si fa carico di tutto, la voce che si dimostra capace di far gelare il sangue con un urlo.
In un cammino inesorabile verso un’epoca ridotta al suo freddo vuoto, condannata a un godimento impossibile, sulla via della disincarnazione dei corpi, delle emozioni dissolte nel cloud.