Quarant’anni e non sentirli. Usciva Oltreoceano il 20 giugno del 1980 – in Italia sarebbe al solito arrivato qualche mese più tardi – uno di quei film che sono entrati nella storia del media, capace di lasciare un segno indelebile nel pubblico allora contemporaneo e nelle successive generazioni, diventando un oggetto di culto di rivedere e da risentire.
Perché The Blues Brothers vive proprio sull’armonica contaminazione tra immagini e canzoni, elemento fondamentale di un successo destinato a perdurare nel tempo e a segnare mode e stili nel comune immaginario, oltre a spingere il pubblico a cantare a squarciagola insieme ai protagonisti e alle numerose leggende della musica afroamericana che si sono prestate con gusto a magnifiche partecipazioni. In occasione dell’anniversario, ripercorriamo insieme i punti di forza di un’opera che non ha bisogno di presentazioni.
Canta che ti passa
L’energia scaturita dalle quasi due ore e mezza di visione è un qualcosa di raro anche per il cinema dagli anni ’80, da sempre innescato nelle sue dinamiche base su un feeling over the top che non si è mai ripetuto nella storia della Settima Arte. The Blues Brothers tocca l’apice del ritmo, sacrificando volutamente la complessità narrativa in favore di un inarrestabile flusso di eventi dove i tempi morti rimangono soltanto un lontano ricordo. I frequentissimi sketch a sfondo canoro sono il marchio di fabbrica e sfidiamo chiunque a non improvvisare ritmi e ritornelli insieme ad Aretha Franklin e Ray Charles o alla leggendaria coppia formata da John Belushi e Dan Akroyd, pronta a scatenarsi sia nelle iconiche hit autoctone Everybody Needs Somebody to Love e Sweet Home Chicago che in inedite vesti country (memorabile la cover della classica OST western Theme from Rawhide).
Lo stesso epilogo, ambientato tra le mura del carcere, prosegue con grinta sulle linee guida di quanto vista in precedenza, spingendo a cantare e ballare con furente intensità. Non poteva essere d’altronde altrimenti, visto che i personaggi di Jake ed Elwood Blues vennero creati dagli attori all’interno del celebre show televisivo Saturday Night Live ed erano già stati “autori” di dischi capaci di raggiungere la cima delle classifiche.
Leggi anche: I Goonies compie 35 anni | Come il cult anni ’80 ha influenzato cinema e serie tv
Di tutto e di più
Ma The Blues Brothers non brilla di luce propria esclusivamente per la sua incredibile alchimia visiva – uditiva, in quanto un maestro della commedia come John Landis è riuscito a dar vita ad una serie di gag e battute tutt’oggi entrate nel gergo della gente: frasi come “siamo in missione per conto di Dio” vengono citate in più occasioni da chiunque.
E proprio la varietà di situazioni che caratterizzano il bizzarro e stravagante viaggio on the road dei due scatenati protagonisti, poco di buono in cerca di redenzione, offre un divertimento continuo e fagocitante: dalla figura di Carrie Fisher che pedina i Nostri in più occasioni con intenti bellicosi alla diatriba con il gruppo country, dalle schermaglie coi nazisti fino a quelle con la polizia, il film è un puro concentrato di follia, esplodente in una parte finale dove il gusto per l’eccesso raggiunge un’apoteosi irresistibile e irrefrenabile, tra inseguimenti automobilistici oltre i limiti della fisica (conquistò il Guinness dei primati per la scena con il maggior numero di incidenti su quattro ruote) e un numero di comparse spropositato nelle piacevolmente ridondanti scene di massa.
Perché The Blues Brothers, così come lo stesso Belushi che sul set ne combinò di cotte e di crude – a causa della sua dipendenza dalla droga – è un’entità libera e senza paletti che proprio nella sua anarchia iconoclasta è riuscito ad entrare nel Mito.