I due personaggi principali di The Mountain, ovvero un medico che ha brevettato un trattamento “avveniristico” per le malattie mentali (lobotomia ed elettroshock) ed un ragazzo che lo segue in veste di fotografo e tuttofare, sembrano uscire da un film di Roy Andersson e non a caso ricordano da vicino i due venditori di scherzi di carnevale sempre tristissimi e mai divertenti del suo film del 2014. Anche la narrazione di questo “buddy movie”, che è però spogliato di tutte le dinamiche che governano quel genere di film, è quello surreale e grottesco del regista svedese. La relazione fra il dottore ed il suo giovane aiutante non evolve mai come ci si aspetterebbe da un film che li vede protagonisti insieme in un viaggio lunghissimo e del quale non si conosce la data del ritorno. Anzi, i due sembrano destinati ad abbandonarsi con la stessa “facilità” con la quale si sono conosciuti, rimanendo di fatto ingabbiati nella descrizione che il film brevemente fa di loro nelle prime sequenze e senza cambiare in nessuna maniera anche davanti ad una serie di eventi che per loro dovrebbero essere significativi.
Tye Sheridan, così catatonico da sembrare proprio uno dei pazienti del suo compagno di viaggio, accompagna il sedicente chirurgo Wally Fiennes nel suo giro di ospedale in ospedale, con lo scopo di trattare pazienti che sembrano non avere mai la reale necessità di essere “resi innocui” da una persona invece visibilmente più pericolosa di quanto non lo siano loro. A prestare il suo corpo per il ruolo del sadico luminare è Jeff Goldblum, un attore capace anche solo attraverso i suoi movimenti disarticolati di tratteggiare il carattere di un personaggio che il film invece sembra non voler descrivere.
The Mountain: il viaggio crudele e surreale di due personaggi senza storia
Il formalismo esasperato di Alverson, che si riflette nella maniacale composizione delle sue inquadrature in 4:3, sembra voler rendere su schermo quella stessa meccanicità che contraddistingue la pratica chirurgica di Fiennes, da lui esercitata con precisione e rapidità di esecuzione sui suoi malcapitati pazienti. Ma come al personaggio di Goldblum capita spesso di ritrovarsi le mani sporche di sangue per un intervento che non va come dovrebbe, così non tutte le scene di The Mountain colpiscono nel segno e sono egualmente efficaci.
Se è vero che c’è qualcosa di ipnotico nella maniera in cui i due protagonisti si muovono sullo schermo (la “divisa” disegnata da Elizabeth Warn per il ragazzo lo fa sembrare un pupazzo per i film in stop-motion, che come lui rimane fermo e agisce solo se richiesto) è altrettanto innegabile che al termine di The Mountain rimane ben poco da ricordare, fatta eccezione per l’assurdo personaggio di Denis Lavant. L’attore francese, facendo di nuovo propri quei tratti caratteristici già emersi nei film di Leos Carax, dà voce ad uno strano essere che sembra uscire dal sottobosco di Twin Peaks. Il suo Jack si inserisce in quella che sembra essere la sola vicenda narrativamente rilevante del film, che proprio quando sembra prendere una direzione precisa si interrompe bruscamente. Come se fosseproprio uno di quei lunghi chiodi utilizzati dal dottore per entrare nel cranio dei suoi pazienti a porre fine alla storia di The Mountain.