The Wife – Vivere nell’ombra, la recensione del film con Glenn Close

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Alle prime luci dell’alba lo scrittore di successo Joe Castleman (un istrionico Jonathan Pryce) viene svegliato dal trillo del telefono per ricevere la notizia di una vita: stanno per assegnargli il Nobel per la letteratura. Una gioia che Joe condivide subito e con grande entusiasmo con la compagna di sempre nonché sua sostenitrice più accalorata, ovvero la moglie Joan (la sempre ottima Glenn Close). Insieme al figlio – anch’egli aspirante scrittore, i due coniugi partiranno dunque alla volta di Stoccolma per presenziare a quella che dovrebbe essere l’happy end del sogno di gloria di Joe. Eppure, nel sodalizio di una coppia che pare affiatata al di là di ogni ragionevole dubbio (perfino l’hostess del volo per Stoccolma annoterà nella sua mente l’alchimia della longeva coppia), c’è un segreto enorme che per anni ha mantenuto in piedi un equilibrio di circostanze, e che ora è invece forse destinato a incrinarlo per sempre.

Quanti sono i compromessi che si è disposti ad accettare quando l’ossessione per il successo o più in generale per il proprio sogno di gloria prendono il sopravvento su tutto il resto? Moltissimi, forse troppi. Ispirato all’omonimo romanzo di Meg Wolitzer, The Wife – Vivere nell’ombra, diretto dal regista Björn Runge, rilegge un copione relazionale assai diffuso dove la donna (ben più spesso dell’uomo) – quali che siano i suoi talenti o le sue aspirazioni – decide in modo volontario ma forse non del tutto consapevole di lavorare nell’ombra per il successo non proprio ma bensì del proprio uomo, rinunciando in parte o del tutto a sé stessa per il compimento dell’altro. Eccesso di altruismo o paura di mettersi in gioco in prima persona di fronte ai propri sogni? In entrambi i casi, una sorta di transfert di aspirazioni e gratificazioni che può, di fatto, indurre un suo equilibrio relazionale, ma che è destinato, nel tempo, a lavorare nel subconscio minando profondamente quello stesso equilibrio.

Il regista Björn Runge ritaglia attorno a una coppia di ottimi e affiatati attori lo scarto esistente tra realtà e finzione, verità e menzogna, creando un’opera che è spunto di riflessione e senz’altro godibile sulla malia del successo e sulle sue tante ‘controindicazioni’, applicate in particolare alla vita di coppia. Eppure, The Wife, nel suo soffermarsi quasi esclusivamente su un momento preciso della relazione, e alludendo al pregresso solo attraverso l’uso intermittente del flash back, sembra mancare di uno scavo più profondo nel complesso e lungo processo di subordinazione e silente accettazione del compromesso su cui la storia si fonda. E se da un lato la bravura degli interpreti anima alcuni ficcanti dialoghi tra coniugi e sostiene il ritmo del film, di contro sono tutte le parti di raccordo e contorno a fiaccarne un po’ contenuto e tenuta. Infine, un’opera che dice il suo e che si anima nella performance dei due protagonisti pur restando un po’ “nell’ombra” in termini di stile e profondità.

The Wife – Vivere nell’ombra, la recensione del film con Glenn Close
2.4 Punteggio
Pro
Ottimi protagonisti, Spunti di riflessione, Dialoghi
Contro
Costruzione narrativa, Approfondimento psicologico, Originalità
Riepilogo Recensione
Storia di donna vissuta all'ombra del proprio compagno, educata nel tempo a silenziare e dirottare il proprio talento, The Wife solleva numerosi e interessanti spunti di riflessione sulla malia del successo e sui compromessi cui si è disposti a scendere per ottenerlo (o per cederlo). Pur non brillando per originalità o struttura narrativa, il film dello svedese Björn Runge trova nell'affiatata e ottima coppia di protagonisti Glenn Close e Jonathan Pryce una delle sue carte vincenti.
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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