Che Tom Hanks sia l’incarnazione per eccellenza dell’uomo comune su grande schermo è un incontrovertibile dato di fatto, vista la moltitudine di ruoli nei quali l’attore americano ha vestito i panni di figure amabilmente normali anche nelle situazioni più spettacolari e complesse da gestire. E chi meglio di questo volto così rassicurante per il grande pubblico poteva prestare voce e sembianze a Fred Rogers, presentatore televisivo statunitense che per tanti anni ha accompagnato gli spettatori d’Oltreoceano, in particolare le platee di bambini, con i suoi programmi a base di sani valori e buoni sentimenti?
Un amico straordinario, semplicistico adattamento italiano del più efficace e citazionista titolo originale A Beautiful Day in the Neighborhood, gioca proprio con il legame che lo showman (scomparso nel 2003) aveva creato con i suoi fan attraverso il tubo catodico e opta per una duplicità di sche(r)mi narrativi attraverso l’alternanza tra inquadrature in 4:3 e nel più canonico 16:9, atta proprio a sottolineare quanto accadente nelle riprese dal set e altrove nella realtà filmica.
Sin dai primi istanti, con uno spezzone pseudo-musical, il film si instrada su atmosfere figlie di una retorica tipicamente hollywoodiana, con la storia che procede costantemente su note dolci-amare per tutta la durata del racconto. Marielle Heller aveva stupito tutti con il precedente Copia originale (2018), anch’essa operazione biografica nella quale aveva ottenuto da Melissa McCarthy la performance migliore di tutta una carriera, e si dimostra ancora maestra nel trarre il meglio dal cast a disposizione: se Hanks è ormai una garanzia, perfetto e credibile nella commovente aderenza al vero Rogers, il resto degli interpreti non è da meno, Matthew Rhys e un dolente Chris Cooper su tutti.
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Laddove le emozioni non latitano, a penalizzare l’insieme è la mancanza di ritmo e di varietà, con buona parte degli eventi che risentono di atmosfere eccessivamente stagnanti e zuccherose e di una sostanziale reiterazione degli eventi chiave, spesso tirati per le lunghe e indirizzati a furbi slanci empatici che tolgono parziale genuinità al cuore della storia. Ecco allora che la regista tenta di spezzare il circolo vizioso con una manciata di sequenze più intense, come una scena drammatica accompagnata da un intreccio di melodie discordanti (a sottolineare lo scontro di sensazioni del diretto interessato) od un sussulto visionario inaspettato e dal taglio semi-metacinematografico: soluzioni senza dubbio efficaci ma che non riescono da sole a rinvigorire completamente l’anima della pellicola.
Tom Hanks è candidato all’Oscar come attore non protagonista e infatti la sceneggiatura si concentra principalmente su Lloyd, giornalista per la nota rivista Esquire (il personaggio è vagamente ispirato alla figura di Tom Junod, un reporter che ebbe l’onore di intervistare Rogers) al quale viene affidato l’incarico di redigere un articolo sullo showman. L’uomo, che da poco ha avuto un bambino ed è in rapporti turbolenti con il padre alcolizzato, vedrà la sua vita cambiare da quel fatidico incontro, stringendo un rapporto di incredibile amicizia con Rogers e arrivando ad apprezzare le sue molteplici stranezze.
Proprio nella ricerca di raccontare una personalità magnetica e unica attraverso una vicenda esterna, cedente in più occasioni a dinamiche forzatamente strappalacrime, Un amico straordinario perde di omogeneità e la strada del bio-pic classico sarebbe stata sicuramente preferibile a conti fatti. Il risultato finale è infatti godibile e, per un certo tipo di audience i toni quieti e affabili saranno un toccasana, ma si sente perennemente la mancanza di quel guizzo, stilistico ed espositivo, potenzialmente ottenibile con un’altra impostazione alla base.