Un figlio di nome Erasmus
vede al centro del racconto la comune vicenda di quattro amici oggi quarantenni, inseparabili fin dalla loro giovinezza. Ascanio è un amante degli sport estremi, Jacopo ha scelto l’abito talare, Enrico è prossimo al matrimonio e Pietro è un manager discografico che sta cercando di far ammettere il suo pupillo al festival di Sanremo.
Le loro vite cambiano inesorabilmente un giorno, quando scoprono come la donna che hanno amato durante un periodo Erasmus, trascorso vent’anni prima in Portogallo, sia passata a miglior vita. Insieme alla tragica notizia i quattro vengono anche a sapere che la loro ex fiamma ha avuto un figlio e decidono di recarsi nel Paese lusitano per comprendere chi sia l’effettivo padre del misterioso erede. Ma nella vacanza-missione per arrivare finalmente a conoscere la verità i Nostri dovranno affrontare una serie di rocambolesche disavventure.
Un figlio di nome Erasmus | Un approccio incalzante
Una delle critiche che si è soliti muovere a gran parte delle commedie italiane è relativa a quello stanco e sfruttato provincialismo che spesso caratterizza molti dei titoli odierni. Un figlio di nome Erasmus, ultimo lavoro per il grande schermo del regista Alberto Ferrari, palesa fin dai primi istanti un approccio più internazionale e potenzialmente esportabile, tale da portare una ventata di freschezza nell’inflazionato filone.
Pur non privo di alcune ingenuità endemiche, il film riesce infatti a divertire con gusto nel corso dei cento minuti di visione, mettendo in campo una varietà di gag e situazioni che si liberano dalla gabbia del politically correct e pungono con una sana cattiveria a tema, senza scadere in volgarità eccessive e limitando la retorica su toni amabili nelle fasi potenzialmente più amare del racconto. La sceneggiatura gioca sì su un tono caricaturale e marcato nella caratterizzazione dei quattro protagonisti, ma trova una coesione di fondo nella gestione dei suddetti, imbastendo bene i relativi tempi narrativi e affidando ad ognuno delle precise peculiarità, che si riveleranno fondamentali nei diversi eventi che questi dovranno superare.
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Un figlio di nome Erasmus – Un viaggio da ridere
Un viaggio on the road che ricalca alcune regole chiave del genere, con una strizzata d’occhio al cinema americano a tema, e che cita a più riprese cult intergenerazionali come The Blues Brothers (1980) e Ritorno al futuro (1980), sia negli scambi di battute che nell’esposizione di alcuni passaggi. Dopo un rapido inizio d’impostazione introduttiva, con un voice-over che ci accompagna alla scoperta del background dei personaggi e nei rispettivi ambiti personali – chi prete che scopre la sorella lesbica, chi indeciso sulle imminenti nozze e così via – Un figlio di nome Erasmus parte in quarta in un susseguirsi di circostanze sempre più scatenate e frizzanti, tra feste in discoteca e corse in bicicletta, il tutto accompagnato da una gradevole colonna sonora (dal punto di vista musicale non mancano le guest-star, come Roby Facchinetti dei Pooh nelle fasi conclusive, e neanche incisive critiche alla musica trap e commerciale).
Pur al netto di evidenti forzature atte a condurre la storia sul sentiero prestabilito, l’operazione sa come intrattenere il grande pubblico e l’affiatato cast sfrutta al meglio il complementare carisma dei suoi interpreti: Luca e Paolo, Daniele Liotti e Ricky Memphis sono perfettamente a loro agio in alter-ego nei quali calzano a pennello.