Una giusta causa, il vento del cambiamento nella voce di una donna avanguardista e virtuosa

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Harvard, 1956. Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) è una delle nove, “fortunate” donne che riesce ad accaparrarsi uno degli ambitissimi posti nella prestigiosa facoltà di legge, a quel tempo corso di studi a quasi totale appannaggio del sesso maschile, secondo la teoria a dir poco discriminatoria del “Perché occupare un posto che sarebbe potuto andare a un uomo?”. Eppure, nonostante il suo talento e il conseguimento della laurea come indiscussa prima della classe, la ragazza non riuscirà a farsi poi aprire la porta da alcuno studio legale, perché l’allora discriminazione nei confronti delle donne e soprattutto in certi ambiti (come quello, appunto, degli studi legali e dei tribunali) era ancora quasi totale. La volitiva Ruth accetterà dunque di farsi da parte per mettersi a insegnare, mentre suo marito Martin Ginsburg (Armie Hammer) proseguirà la sua carriera all’interno degli studi e nel settore specifico del diritto tributario.

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Kathy Bates in Una Giusta Causa

Poi, però, il caso di un uomo cui verranno rifiutate le detrazioni per i costi dell’assistente che aveva preso per badare alla madre malata dovendo egli lavorare, segnerà il punto di svolta per entrare in campo e combattere in prima linea la battaglia alle discriminazioni, con l’idea di creare un precedente (anche se inverso) su cui basarsi (la legge americana si basa su common law e i dibattimenti si discutono dunque portando a confronto casi precedenti e precedenti sentenze) per far valere la parità dei diritti tra uomo e donna. In suo aiuto accorreranno il sempre sodale marito e l’avvocato progressista Dorothy Kenyon (il premio Oscar Kathy Bates), e nonostante l’unanimità di pareri contrari, Ruth combatterà stoicamente una delle battaglie più importanti sul fronte della parità dei diritti.

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Felicity Jones e Armie Hammer in Una Giusta Causa

La regista newyorkese Mimi Leder prende a prestito una pagina importante nella battaglia alla discriminazione di genere per raccontare come la caparbietà e l’intelligenza di una donna riuscirono (non da sole, ma quasi) a ribaltare un sistema sessista che voleva, indiscutibilmente fino ad allora, la donna confinata a casa a badare ai figli e l’uomo fuori casa a lavorare. All’interno di una narrazione che sfrutta soprattutto la sagacia dei dialoghi – all’interno di un confronto tutto giurisprudenziale ed ideologico – e delle argomentazioni, Una giusta causa mostra come la dialettica brillante sostenuta, associata a una indefessa caparbietà, metteranno Ruth nella posizione di comprendere e intercettare quel cambiamento sociale già in atto che sarà poi alla base del risolversi favorevole della sua causa.

Felicity Jones veste con grande temperamento i panni di questa eroina minuta ma fortissima, capace con le parole di ribaltare un’intera corte di soli uomini, mentre Armie Hammer e Kathy Bates fungono da funzionali figure d’appoggio per questo biopic in salsa legale in cui spicca, più di ogni altra cosa, la potenza di un linguaggio prestato al vento del cambiamento, di una battaglia dialettica asservita alla giusta causa della vecchissima e insidiosa questione per la parità dei diritti.

Una giusta causa, il vento del cambiamento nella voce di una donna avanguardista e virtuosa
3.6 Punteggio
Pro
Protagonista, Dialoghi, Soggetto
Contro
Lunghezza, Linearità, Specificità registro
Riepilogo Recensione
Ispirandosi a una vicenda emblematica e reale, la statunitense Mimi Leder dirige un film senza particolari guizzi, ma onesto e ben strutturato cui fanno da traino senz’altro il valore simbolico della storia, la fluidità dei dialoghi e la presenza scenica della protagonista Felicity Jones.
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

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By Elena Pedoto

In me la passione per il cinema non è stata fulminea, ma è cresciuta nel tempo, diventando però da un certo punto in poi una compagna di viaggio a dir poco irrinunciabile. Harry ti presento Sally e Quattro matrimoni e un funerale sono da sempre i miei due capisaldi in fatto di cinema (lato commedia), anche se poi – crescendo e “maturando” – mi sono avvicinata sempre di più e con più convinzione al cinema d’autore cosiddetto di “nicchia”, tanto che oggi scalpito letteralmente nell’attesa di vedere ai Festival (toglietemi tutto ma non il mio Cannes) un nuovo film francese, russo, rumeno, iraniano, turco… Lo so, non sono proprio gusti adatti ad ogni palato, ma con il tempo (diciamo pure vecchiaia) si impara anche ad amare il fatto di poter essere una voce fuori dal coro...

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