Venezia 69: La città ideale, la recensione

Alla sua prima regia cinematografica, Luigi Lo Cascio ritorna alle origini: il teatro. Lo fa  partendo da un intreccio di ispirazione kafkiana, al centro del quale c’è Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio), architetto ecologista fino al midollo. Grassadonia si pone come il tutore del rispetto dell’ambiente, risultando spesso uno scocciatore per colleghi e amici, fino a quando viene indagato per omicidio colposo. Proprio lui, il meridionale puntiglioso e convinto di aver trovato la sua oasi di pace a Siena, è costretto a fare i conti con il suo complesso di colpa. Le tematiche toccate da Lo Cascio sono diverse, ma la più interessante è la rappresentazione di un complesso di colpa che emerge dall’animo dell’ uomo, come succede allo sporco nelle fognature otturate durante un violento temporale. L’ avvocato Scalici (Luigi Maria Burruano), consultato in ultima battuta dopo un’insoddisfacente esperienza con il principe del foro senese, ricorre proprio a questa metafora per spiegare ciò che sta succedendo al suo cliente Grassadonia, mettendo in luce qualcosa che lui percepisce solo superficialmente.

Il bisogno di fare chiarezza e ristabilire la verità dei fatti, che attanaglia il protagonista, è una diretta conseguenza di questo complesso di colpa, a cui il regista attribuisce un’origine “genetica”. Presentato nell’ambito della Settimana Internazionale della Critica di Venezia, La città ideale è una pellicola che propone una riflessione critica sia sui cavilli burocratici e giudiziari del nostro Paese, in cui il cittadino rischia spesso di rimanere imbrigliato, sia su quelle persone che credono di poter controllare saldamente la propria coscienza per il solo fatto di avere un bagaglio culturale. L’interpretazione di Lo Cascio risulta impeccabile, per l’unione della giusta espressività alla cura del movimento. I tratti somatici spigolosi, enfatizzati dal clima di angoscia e dalle luci soffuse, rimandano al volto disperato di  Anthony Perkins ne Il Processo, diretto da Orson Welles nel ’62. Coinvolgente fino alla commozione Luigi Maria e Aida Burruano. Compaiono, in due cammei, Roberto Herlitzka, che sfoggia un divertente accento toscano, e l’attore e regista teatrale Vincenzo Pirrotta.