Venezia 69. Valentino’s Ghost: la politica dietro le immagini

Michael Singh, regista di origine indiana, ha realizzato un interessante documentario sull’evoluzione dell’immagine dell’arabo nei media statunitensi dal titolo Valentinos Ghost. Facendo largo uso del footage e analizzando una serie di immagini, fotogrammi, sequenze tratti da film, spezzoni di telegiornali e articoli presi da quotidiani, il regista dimostra come l’agenda della politica estera americana nel Medio Oriente abbia influenzato la rappresentazione degli arabi musulmani da parte dei media. Si parte dagli anni ’20, periodo in cui l’arabo veniva rappresentato da Hollywood come un eroe. All’epoca di Rodolfo Valentino, protagonista di Sheik nel 1921, per gli americani l’immagine dell’arabo portava con sé quell’elemento esotico che affascinava il pubblico. Nei decenni successivi la figura del musulmano muta fino a diventare, soprattutto dopo l’attacco alle torri gemelle, l’incarnazione del male non solo nei film hollywoodiani, ma anche nei cartoni animati della Disney come Aladdin, oltre che nei media.

Passaggio particolarmente interessante in Valentinos Ghost è quello in cui, attraverso un accurato montaggio, Singh spiega come la lobby israeliana sia riuscita ad influenzare la concezione statunitense del musulmano. Da lì il discorso si sposta sull’attuale ruolo di Israele in Palestina, che vede i musulmani relegati a vivere in scrase porzioni territoriali. Singh, con l’aiuto di cartine interattive, fa notare come dal 1948, anno d’istituzione dello stato di Israele, passando per il 1967 e per il 1973, questo si sia espanso sul territorio Palestinese in violazione degli obblighi internazionali. Particolare attenzione viene dedicata alla figura del terrorista musulmano: Singh propone, per mezzo delle interviste presenti nel documentario, la tesi secondo cui non tutti gli arabi devono essere considerati terroristi per il solo fatto di essere musulmani. Molti atti terroristici messi in atto dai musulmani, seppure non condivisibili, secondo Singh traggono origine dagli atti di forza perpetrati da Israele contro la popolazione palestinese. Singh inoltre riesce a mettere molto bene come sia labile il discrimine fra la figura del terrorista e quella di chi resiste per la difesa dell’integrità del proprio territorio e dell’unità della propria popolazione, ed in questo senso mostra le immagini di ex terroristi israeliani poi dievenuti ministri.

Nei novantacinque minuti di documentario Singh affida il sostegno delle sue tesi a personaggi come: Gore Vidal, uno dei maggiori scrittori ed osservatori della società americana, recentemente scomparso, Melani McAlister professore associato alla George Washington University, John J. Mearsheimer professore dell’Università di Chicago e scrittore dell’innovativo saggio Israel Lobby, Robert Fisk corrispondente del britannico The Independent da Beirut di fama internazionale ed Anthony Shadid considerato il miglior giornalista della sua generazione sul Medio Oriente.