La Mostra Internazionale del Cinema di Venezia si è chiusa lo scorso 7 settembre con la vittoria del film Sacro Gra di Gianfranco Rosi, riportando il Leone d’Oro in Italia dopo ben quindici anni di festival. E’ stata la prima volta che un film documentario, non di finzione, è stato selezionato per la sezione Concorso, suscitando inevitabili polemiche soprattutto in seguito alla vittoria di questa 70° edizione.
Dopo il primo mediometraggio Boatman girato in India e il primo lungometraggio El Sicario – room 164 in cui intervista in Messico un killer pentito del narcotraffico, Rosi continua a raccontare la realtà ma torna nel suo Paese, l’Italia e più precisamente a Roma, dove passa due anni a girare per il Grande Raccordo Anulare a bordo di un mini van, considerandolo uno spazio urbano da esplorare, con i suoi paesaggi e le persone che lo vivono ogni giorno. “Il GRA, questo fiume di traffico in eterno movimento e chi lo abita, è una realtà che reclama di essere vista, di essere pensata” dichiara Rosi, che segue il paesaggista e urbanista Nicolò Bassetti, le sue riflessioni e la sua idea che il GRA sia un luogo con una sua identità da scoprire. Insieme danno vita ad un progetto multidisciplinare che cerca di far luce sull’identità della Roma contemporanea, presentando un paesaggio freddo e sofferto, attraversato da varie storie di vita. Roberto è un barelliere del 118, ogni giorno di corsa a bordo delle ambulanze e alle prese con emergenze di ogni tipo, Cesare è un anguillaro che pesca sul Tevere dalla mattina presto per mantenere la sua famiglia semplice all’ombra del cavalcavia, Paolo, un nobile piemontese stravagante vive con la figlia laureanda Amelia in un monolocale disquisendo su mille argomenti, Gaetano, ormai oltre i 50 anni ancora lavora per i fotoromanzi, Francesco studia le palme e il curioso Principe moderno Filippo e la consorte Xsenia affittano il loro castello ai margini della periferia per feste, convegni, set per il cinema e altro.
Sacro GRA è un’opera coraggiosa che offre un affresco di una parte della realtà romana, sia dal punto di vista urbanistico sia dal punto di vista dell’umanità. Lo stile di Rosi è prettamente documentaristico, con un uso della telecamera amatoriale e lineare, privo di particolari rilevanti o innovativi ma i personaggi che ha trovato sembrano usciti da una sceneggiatura per il cinema. A lui interessa narrare alcune storie che ruotano intorno a questa lunga striscia di asfalto che scorre per ben 70 km e circonda la Capitale come l’anello di Saturno, ma la struttura narrativa del film è disconnessa e in parte superficiale. Ogni storia è appena accennata, mentre sarebbe stato più interessante approfondirne almeno alcune. Alle dichiarazioni delle varie persone si alternano riprese generiche del Raccordo e delle realtà più tristi che lo animano di notte e di giorno, dando voce solo alla parte più negativa di una città. in modo da cadere nei più classici cliché del documentario come denuncia e specchio esclusivo del peggio della società. Visto che dal titolo e dalla descrizione del progetto, Sacro GRA vuole essere una fotografia e un’analisi del Grande Raccordo Anulare nella sua interezza, appare riduttivo che il regista si sia soffermato solo su storie tristi, problematiche e grottesche, sullo sfondo di alcune delle parti peggiori di Roma dal punto di vista urbanistico, in cui trionfano distruzione e grigio. Insomma abbiamo decisamente qualche remora nel ritenere questo film adatto al Leone d’Oro, sia per la sua natura non di finzione, sia per l’aspetto comunque ordinario con cui Rosi ha scelto di affrontare un simile progetto, che parte tuttavia da un’idea buona e interessante. Il film uscirà al cinema il 26 settembre distribuito da Officine Blu.
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