Alfonso Cuarón
, il regista messicano di Gravity, ha presentato in concorso a Venezia 75 il suo film più intimo e personale, ROMA. Due collaboratrici domestiche di origine mixteca, Cleo (Yalitza Aparicio) e Adela (Nancy Garcia) si occupano dei quattro figli di una famiglia nel quartiere borghese di Roma a Città del Messico negli anni ’70. Mentre la madre, Sofia (Marina de Tavira), affronta la lunga assenza del marito, Cleo è costretta a confrontarsi con l’arrivo di notizie devastanti che minacciano la sua capacità di prendersi cura dei bambini che ama come fossero suoi.
Cuarón e il cast del film sono stati accolti da numerosi applausi all’ingresso nella sala conferenze stampa del festival, dove hanno raccontato la genesi e lo sviluppo di ROMA con disponibilità e simpatia.
Chi è Cleo e in quale momento della sua vita si è reso conto che le donne sono sempre sole come sottolinea nel film?
Alfonso Cuaron: Cleo è basata su una persona reale di nome Libo che è stata la mia babysitter quando ero bambino e ha sempre fatto parte della famiglia. La cosa importante di questo film per me è il processo della memoria e del ricordo. Mi sono avvicinato al personaggio di Cleo partendo dal mio ricordo e le mie conversazioni con Libo che è stata presente anche sul set per confrontarsi spesso con l’attrice e offrire più dettagli. Ho cercato di vedere Cleo come una donna con una serie di cose complesse intorno a lei: le origini indigere, la classe sociale più bassa, e ho creato un mio punto di vista che, da piccolo, non avevo perché la consideravo una mamma. A casa mia le donne hanno portato avanti la casa sempre e me ne sono reso conto subito, fin dall’adolescenza, ma è stata un’esperienza molto forte per me scoprire il personaggio di Cleo come donna.
Quali sono le origini di Cleo?
Yalitza Aparicio: Io e Nancy Garcìa veniamo da una comunità indigena dello stato di Makaha dove si parla il mixteco che ha all’interno diverse varianti. Quindi siamo contente che il regista ci abbia offerto la possibilità di far conoscere la nostra lingua che fa parte della nostra cultura. Io non so parlare il mixteco in realtà, ma Nancy mi ha insegnato a farlo. E’ stato un onore però presentare una lingua che ci caratterizza per valorizzarla, e fare in modo che non si perda perché ci identifica come popolo.
Alfonso Cuaron: Questo è un film fatto per le donne, ma il processo di lavoro non è stato convenzionale, soprattutto per Nancy e Yalitza. Non hanno avuto mai la sceneggiatura e quindi scoprivano i personaggi poco a poco, con qualche mia indicazione mai rigida.
Come mai ha scelto di girare in bianco e nero?
Alfonso Cuaron: Quando il film è nato avevo chiare tre cose: il personaggio di Cleo, lo strumento per riscoprire il film ovvero la memoria, e il bianco e nero. Questi tre elementi non sono stati mai messi in discussione, ma i piani e le sequenze sono legati al fatto di parlare di ricordi. Volevo un racconto oggettivo, quindi anche se la memoria può essere soggettiva, le immagini sono oggettive. Ho provato a osservare quei momenti con una certa distanza, senza giudicare, e senza che la telecamera si intromettesse. E fare un film senza risposte perché è lo spettatore che deve trarre la sua conclusione, anche se ci sono vari simboli nel film. Non volevo fare un film nostalgico, e il bianco e nero è contemporaneo, digitale.
Cosa pensa della distribuzione di questo film su Netflix?
In molti Stati andrà sul grande schermo. Non bisogna dare giudizi perché conosciamo la realtà di distribuzione per un film come questo. Un film in lingua indigena e in bianco e nero ha difficoltà a trovare degli spazi. E in questo caso è importante avere Netflix anche a lungo termine.