Venezia 75, Sulla mia Pelle: la storia di Cucchi in un film asciutto con personaggi senza volto

Sulla mia pelle, seconda opera di Alessio Cremonini sulla terribile storia di Stefano Cucchi, possiede il rigore dei film migliori. Ma l’asciuttezza che Cremonini sceglie di adottare per la sua narrazione non è quella arida e fredda delle carte processuali che lui, insieme alla co-sceneggiatrice Lisa Nur Sultan, ha studiato prima di scrivere il film, ma quella precisa e chirurgica di un linguaggio cinematografico che guarda al noir pur non avendo un reale intreccio e che allo stesso tempo non vuole in alcun modo diventare “documento”, colmando invece dove serve quei vuoti che emergono dalle trascrizioni processuali.

Il Cucchi del film di Cremonini non è una figura cristologica, ma un ragazzo difficile e spesso insopportabile, che rifiuta i pochissimi aiuti che gli vengono offerti e si lascia trascinare in una odissea di luoghi sempre differenti (sono tantissime le didascalie che indicano a chi guarda dove ci si trova) ma che ci appaiono uguali perché uguale è l’indifferenza di chi sorveglia quelle celle e pensa di poter rinunciare a svolgere il proprio dovere perché gli atteggiamenti del detenuto rendono facile svincolarsi da ogni responsabilità.

Sulla mia pelle: il viaggio di Cucchi fra personaggi senza volto

La voce flebile del giovane romano, la fragilità che appare nei suoi movimenti sempre più stanchi e trascinati, sono rese in maniera egregia da Alessandro Borghi. È proprio su quella “pelle” citata nel titolo che il film ci mostra una violenza che avviene fuori campo, ma che con una rapida ellissi ci si pone davanti, nella sua inutile ferocia, attraverso uno stacco di montaggio che termina proprio sui lividi del ragazzo. Cremonini fa il miglior uso possibile della prova incredibile di Borghi e usa il viso tumefatto di Cucchi, consegnato alla memoria collettiva da sua sorella, come unica immagine riconoscibile in un via vai di personaggi senza volto, che sono destinati a scomparire dalla scena con la stessa velocità con la quale vi sono entrati.

Quella di Stefano Cucchi, attraverso le immagini di Sulla mia pelle, sembrerebbe una tragedia sospesa nel tempo, ripetibile in ogni epoca ed in ogni luogo, ma è invece un dramma dei giorni nostri, come suggerisce la colonna sonora elettronica dei Mokadelic (già autori di quella di Gomorra) e come ci ricordano gli apparecchi per le radiografie che troppo tardi vengono utilizzati per indagare le lesioni del ragazzo.

Sulla mia pelle: una storia universale 

Sulla mia pelle non vuole essere per forza di cose un “grido di denuncia” verso un sistema che non funziona, né tantomeno ha l’ambizione di rendere universale una storia che è invece personale, come personali ed umane sono le contraddizioni che animano i suoi personaggi, ma trae proprio dalla specificità della cronaca la forza di narrare una vicenda che si inserisce in un problema sociale. Problema che riguarda la negligenza dello Stato e che accomuna tanti altri episodi di detenuti, ma che ha come protagonista un ragazzo non certamente paragonabile a nessun altro dei quasi duecento morti di quello stesso anno nelle carceri italiane (ricordati da una didascalia al termine del film). 
 
Il film di Cremonini, quindi, non generalizza un fatto che è invece doveroso raccontare nelle sue dinamiche tutte particolari per rispetto delle persone coinvolte, che non sono “numeri da scaricare”, ma riesce ad andare al di là della cronaca riconducendo la propria narrazione ad un linguaggio cinematografico riconoscibile e ben codificato, quindi universale. Il film, non a caso, sarà distribuito in tutto il mondo da Netflix.

Sulla mia pelle – TRAILER