Presentato in concorso all’80ª edizione della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia, Maestro di Bradley Cooper ci ha convinto o no?
Bradley Cooper è al timone di Maestro, un lungometraggio di 129 minuti che si potrebbe definire un biopic musicale. Oltre a dirigerlo, Cooper veste anche il ruolo di protagonista e co-sceneggiatore insieme a Josh Singer, mentre a livello produttivo sono coinvolti nomi del calibro di Steven Spielberg e Martin Scorsese. Il film arriverà su Netflix il 20 dicembre 2023.
Maestro racconta la storia d’amore tra Leonard Bernstein e Felicia Montealegre Cohn Bernstein, dal loro incontro nel 1946, passando per il matrimonio durato 25 anni dal quale sono nati i tre figli Jamie Bernstein, Alexander Bernstein e Nina Bernstein Simmons, fino alla discesa che in parte li allontanò.
Sofferenza, dolore, complicazioni, elementi cardine di una vita alla rincorsa di un irrefrenabile istinto, in cui la musica fronteggia l’amore. Partiamo dall’impostazione, da cosa vuole dirci il film perché questo può facilmente cambiare le sorti del godimento.
Musica e amore
La scena iniziale apre su un anziano Bernstein che chiarisce immediatamente l’intento dell’intero minutaggio a seguire, il racconto non sarà un biopic sul Maestro bensì graviterà attorno al rapporto tra lui e la moglie. Ciò significa che il nucleo della narrazione è l’amore tra i due. Partendo da qui dunque, la chiave di lettura si sposta non poco rispetto alla prospettiva di chi si aspetta di vedere un biografico a lui dedicato.
Bene, ora che questo è chiarito possiamo esplorare ciò che funziona o meno. E’ di certo essenziale che in un film di questo genere l’impianto musicale sia realizzato a meraviglia e infatti è innegabile che non pecchi affatto nel cullare ogni sequenza nel modo migliore possibile.
Tra sensibilità e raffinatezza, i personaggi ruotano in un mix di sensazioni e ambienti che li porterà a stabilire relazioni non sempre empaticamente coinvolgenti. In parte astratto nella sua messa in scena, sceglie di mostrarsi sotto diverse iconografie ed è forse qui che si sbilancia finendo per destabilizzare un tantino.
Confusione stilistica
Musical, drammatico, metacinematografico, ci sono attimi in cui la confusione tra gli scompartimenti narrativi non s’incastra benissimo e il risultato che avverte lo spettatore disorienta. Niente male la performance attoriale di Bradley Cooper che sorregge sostanzialmente ogni cosa, convincendo anche a livello di make-up o nelle scelte dello stiloso vestiario.
Piatta e apatica invece Carey Mulligan che come spesso accade affronta il ruolo distaccata e spenta. Il feeling tra i due funziona solo a tratti e se il filo conduttore come dicevamo, è proprio il loro rapporto, va da sé che la pellicola scricchioli un pochetto a livello complessivo, o meglio emotivo.
Molto azzeccate a livello registico le evoluzioni tecniche, soprattutto iniziali, in cui Cooper si diverte a giocare con le inquadrature e col bianco e nero, trascinandoti in un vortice di virtuosismi e inserendo talvolta sovrapposizioni di personaggi o montaggi interni, determinanti per apprendere l’amore cinefilo che il regista nutre.
Tema caldo spesso abusato è l’omosessualità, qui però gestito elegantemente scegliendo di esporsi con estrema gentilezza e delicata voglia di non far leva su questo ma di integrarlo in maniera intelligente. Tra momenti sereni e altri tenebrosi, si racconta dunque una sintonia che supera tutto, attraverso gli occhi di un Cooper che via via si fa sempre più le ossa dietro la macchina da presa dopo una vita davanti.