Zona d’ombra – Una scomoda verità, la recensione del nuovo film con Will Smith

Arriva domani, giovedì 21 aprile, nelle sale italiane il nuovo film diretto da Peter Landesman (Parkland, La regola del gioco), Zona d’ombra – Una scomoda verità, con protagonista Will Smith nei panni del neuropatologo Bennet Omalu, interpretazione che gli è già valsa una candidatura come “miglior attore protagonista” agli ultimi Golden Globes. Il film di Landesman, tratto da una storia vera, racconta di uno scontro millenario che da sempre caratterizza il mondo della ricerca scientifica, quello fra il sapere e il potere costituito, non più ecclesiastico o di natura regia, bensì quello attuale delle lobby e dei comitati di affari. La narrazione prende il via dalla scoperta di una patologia che sconvolse nel profondo il mondo dello sport statunitense, e suscitò forti polemiche e risentimenti nei confronti del medico nigeriano: una malattia degenerativa del cervello che colpiva i giocatori di football vittime di ripetuti traumi a livello del cranio, e che si diffuse con velocità spaventosa provocando una serie di decessi tra atleti e sportivi. Le eclatanti rivelazioni di Omalu, basate sul certosino studio dei cadaveri e dei loro cervelli, scatenarono le ire della National Football League e di tutti gli affaristi legati per motivi economici o personali al grande business dello sport più seguito di America.

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Il caso Spotlight ci ha recentemente insegnato che trattare argomenti di cronaca in maniera coinvolgente e cinematograficamente adeguata è possibile, puntando non solo su di un cast di attori in grado di reggere il peso della narrazione, ma curando anche gli aspetti più tecnici della produzione, dalla regia alla fotografia. A spiccare sul resto in questo nuovo Zona d’ombra è sicuramente la lucida e centrata interpretazione di Will Smith che, dopo un paio di lavori non proprio memorabili, riesce a ritrovare il giusto equilibro e a mettere in scena un personaggio vivido e credibile, con i suoi tormenti e la sua determinazione, senza mai calcare troppo la mano a favore di una recitazione sopra le righe o melodrammatica. Degne di riconoscimento anche le prove di Mbatha-Raw, nei panni della moglie Prema, e del dott. Julian Bailes interpretato dal sempre bravo Alec Baldwin. Nonostante ciò, la regia, seppur buona e funzionale alla narrazione, rimane appiattita sul piano televisivo per tutta la durata della pellicola, senza particolari guizzi o invenzioni, decidendo di mettere la storia raccontata al centro del prodotto. Una scelta determinata anche dal passato professionale dello stesso regista. Landesman è stato infatti per lungo tempo un giornalista di inchiesta, interessatosi direttamente al caso Omalu, tanto da incontrare personalmente il dottore per una intervista sulle sue ricerche scientifiche. Il lavoro di Landesman è un film in grado di abbracciare una grande fetta di pubblico, grazie alla scelta di una narrazione sempre tesa e coinvolgente (che ricalca le atmosfere del thriller politico) e la presenza di un cast di primo livello, in grado di elevare una pellicola carente invece dal punto di vista prettamente stilistico e artistico. Nonostante ciò, la storia del dott. Omalu merita di essere raccontata e conosciuta anche “solo” per il grande insegnamento che può lasciare in ognuno di noi, quello di un uomo che ha deciso di non piegarsi a poteri più forti e più grandi di lui, e proseguire per la sua strada con dignità e coraggio, arrivando a dimostrare le sue tesi e a validare decenni di studi e ricerche condotti in solitaria. Una storia che, essendo poco conosciuta nel nostro Paese, dove il football è ancora poco diffuso, potrà sicuramente interessare e coinvolgere un grande numero di spettatori, pescando trasversalmente tra giovani e adulti.

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By Davide Sette

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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